Un’importante iniziativa sociale ha preso forma all’interno del carcere di Secondigliano, un progetto che intende offrire un’opportunità concreta di reinserimento per i detenuti. Il protocollo d’intesa, firmato tra la direttrice dell’istituto penitenziario, Giulia Russo, e rappresentanti della Diocesi di Napoli e di Kimbo, ha dato avvio al programma “Un chicco di speranza”, volto a formare dieci detenuti e a fornire loro strumenti utili per una nuova vita.
Le motivazioni dietro il progetto
Il legame di Kimbo con Napoli
Mario Rubino, presidente di Kimbo, ha espresso la motivazione che ha guidato la creazione di questo progetto. La storicità del marchio, profondamente radicato a Napoli, si traduce in un forte impegno verso la comunità locale. Rubino ha dichiarato: “Siamo il caffè di Napoli, e riteniamo giusto restituire qualcosa alla città, partendo dai più deboli, i detenuti del carcere di Secondigliano.” Questo messaggio sottolinea come l’azienda non solo persegua obiettivi commerciali, ma senta anche la responsabilità sociale di contribuire alla rinascita di chi si trova in situazioni di svantaggio.
La visione per il futuro
L’iniziativa mira a formare i detenuti non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano, con l’intento di preparali a scelte di vita consapevoli e positive. L’obiettivo è chiaro: trasformare la vita di questi individui, fornendo loro non solo competenze pratiche, ma anche la speranza in un futuro diverso.
Struttura del progetto e obiettivi
Formazione professionale e laboratori
Il progetto “Un chicco di speranza” si articola su tre principali assi. Prima di tutto, prevede un programma di formazione professionale per i detenuti, che avrà come focus due figure professionali: baristi e tecnici manutentori. Questi percorsi formativi sono studiati per offrire agli utenti del carcere una preparazione specifica e direttamente collegata al mondo del lavoro, aumentando così le loro possibilità di impiego una volta scontata la pena.
Creazione di un laboratorio e coltivazione del caffè
Il secondo elemento fondamentale del progetto è la creazione di un laboratorio dedicato, dove i detenuti potranno mettere in pratica le conoscenze acquisite. Ma l’iniziativa non si ferma qui: verrà avviata anche un’attività di coltivazione di un terreno dedicato alla produzione di un caffè speciale, denominato “Caffè di Secondigliano”. Questo progetto rappresenta un simbolo di rinascita e riabilitazione, con l’obiettivo che il caffè prodotto dai detenuti diventi un emblema di cambiamento e speranza per la comunità.
Un simbolo di speranza
Mario Rubino ha chiarito: “Ci vorrà tempo prima che il caffè sia pronto, ma piantiamo un seme di speranza in un luogo che ne ha tanto bisogno.” Queste parole evidenziano la lungimiranza e la volontà di creare un progetto di lungo termine, che possa generare effetti positivi non solo per i detenuti coinvolti, ma per tutta la comunità.
Il ruolo della direzione penitenziaria
Il valore dell’iniziativa nella rieducazione
Giulia Russo, direttrice del carcere di Secondigliano, ha sottolineato l’importanza del progetto per l’amministrazione penitenziaria. Ha dichiarato: “Attraverso iniziative come questa, vogliamo trasformare i detenuti in cittadini.” Questa affermazione indica l’intento di perseguire una missione rieducativa e riformativa, in cui si punta a dare ai detenuti strumenti pratici per affrontare il futuro al di fuori del carcere.
Una nuova prospettiva di vita
Con questa iniziativa, il carcere diventa un luogo di opportunità, in grado di cambiare le vite delle persone che vi sono detenute. Grazie a progetti di questo tipo, i detenuti possono acquisire non solo competenze professionali, ma anche una nuova prospettiva di vita, fondamentale per il loro reinserimento nella società.
Il progetto “Un chicco di speranza” si configura quindi come un importante passo verso la reintegrazione sociale dei detenuti di Secondigliano, un’iniziativa che combina formazione, lavoro e speranza, con la ferma convinzione che ogni persona meriti una seconda chance.
Ultimo aggiornamento il 16 Settembre 2024 da Elisabetta Cina