La recente sentenza n. 135 depositata dalla Corte costituzionale ha portato ulteriori precisazioni riguardo all’accesso al suicidio assistito, puntualizzando determinati aspetti fondamentali legati alla questione. Questa pronuncia ha implicazioni significative per quanto concerne i requisiti necessari affinché un paziente possa accedere a tale pratica, in particolare riguardo alla dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.
Interpretazione dei Trattamenti di Sostegno Vitale
La Corte ha sottolineato l’importanza cruciale di interpretare correttamente la nozione di trattamenti di sostegno vitale, indicando che tale definizione deve essere conforme alla sentenza n. 242 del 2019. La base di questa interpretazione risiede nel riconoscimento del diritto fondamentale del paziente a rifiutare qualsiasi trattamento sanitario che venga praticato sul proprio corpo, indipendentemente dalla sua complessità tecnica.
Inclusione delle Procedure Effettuate dai Caregiver
La nozione di trattamenti di sostegno vitale include anche procedure che possono essere eseguite da caregiver, oltre al personale sanitario qualificato. Queste procedure, che vanno dall’evacuazione manuale all’inserimento di cateteri o all’aspirazione del muco dalle vie bronchiali, sono considerate parte integrante dei trattamenti di sostegno vitale. La condizione principale è che l’interruzione di tali procedimenti porti prevedibilmente alla morte del paziente in un breve lasso di tempo.
Accesso al Suicidio Assistito senza Distinzioni
La sentenza in questione ribadisce che non vi devono essere distinzioni tra pazienti già sottoposti a trattamenti di sostegno vitale e coloro che ne necessitano ma non li hanno ancora ricevuti. Entrambi i casi sono considerati legittimi per l’accesso al suicidio assistito, in quanto il paziente ha il diritto di rifiutare tali trattamenti. Questo principio si allinea con quanto già stabilito nella sentenza n. 242 del 2019, aprendo prospettive importanti nel panorama giuridico relativo al suicidio assistito.