Il caso di Garlasco, che ha tenuto sostanzialmente banco negli ultimi anni, torna alla ribalta per il dibattito riguardante l’analisi del Dna nel contesto di una nuova inchiesta. Secondo il professor Francesco De Stefano, esperto di genetica e già direttore della Medicina legale a Genova, il campione di Dna raccolto nel corso delle indagini non consente di formulare un’ipotesi di identificazione chiara e definitiva. In questo articolo, approfondiamo la questione dell’evidenza scientifica, il ruolo del Dna e gli sviluppi legali legati a questa complessa vicenda.
La raccolta e analisi del Dna: dettagli tecnici
Il professor De Stefano è stato nominato dalla Corte d’Assise d’Appello per fornire una consulenza esperta nel processo collegato al delitto di Garlasco. Raggiunto telefonicamente, ha chiarito che il materiale genetico a disposizione era scarsamente utile. Il Dna raccolto risultava infatti degradato, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di identificazione. Nel suo intervento, De Stefano ha sottolineato che, nonostante le prove condotte, i dati disponibili non supportano le recenti interpretazioni create da altri esperti.
Il genetista ha anche condiviso i dettagli delle tre prove condotte all’epoca dell’indagine. La prima prova, eseguita con un materiale molto limitato, non fornì alcun risultato. La seconda prova, invece, effettuata su un campione maggiore prelevato dalle unghie della vittima, riportò un risultato positivo, mentre la terza analisi rivelò una presenza di Dna che suggeriva la commistione di più soggetti. Questo ha portato De Stefano a concludere che non era possibile formulare un’interpretazione affidabile, dato che le tracce di Dna appartenevano a “almeno due o tre persone”.
Le implicazioni delle nuove rivelazioni
La recente riapertura dell’inchiesta ha portato alla luce nuovi sviluppi significativi. Infatti, Andrea Sempio, l’amico di Marco Poggi , è indagato juntamente con Alberto Stasi, già condannato per il delitto. Le dichiarazioni del professor De Stefano pongono interrogativi sulla validità delle evidenze scientifiche presentate nel corso del processo e sulla loro interpretazione.
Esaminando le possibilità sull’origine delle tracce di Dna, De Stefano ha avanzato l’ipotesi che Chiara Poggi potrebbe aver raccolto campioni dal mouse del computer utilizzato per scrivere la sua tesi di laurea. Questo strumento era stato in uso non solo da lei, ma anche dal fratello e dai suoi amici, potenzialmente spiegando la presenza di Dna di più soggetti. La questione lascia aperti nuovi interrogativi sulla raccolta delle prove e peserà nella valutazione delle responsabilità individuali.
Un laboratorio accreditato: la garanzia di procedimenti scientifici
Il laboratorio che ha effettuato le analisi, quello di medicina legale dell’Università di Genova, è accreditato secondo standard ISO9001. Questo riconoscimento implica che i metodi e i processi utilizzati nel lavoro svolto rispettano criteri di qualità e affidabilità. De Stefano ha confermato che gli esami sono stati condotti con la massima cura e secondo le linee guida previste, tenendo purtroppo conto della scarsità e della condizione del materiale.
Da parte sua, De Stefano ha rifiutato di polemizzare con le nuove interpretazioni emerse, ribadendo che, senza il materiale originale, non si possa costruire un’analisi solida. Sulla questione della distruzione del campione, ha affermato di aver agito seguendo l’autorizzazione del tribunale, il quale lo aveva autorizzato a prendere le decisioni necessarie riguardo al materiale a disposizione.
Con il caso che riprende visibilità, la comunità giuridica e scientifica rimane in attesa di ulteriori sviluppi, mentre i cittadini continuano a seguire con attenzione l’evoluzione di una vicenda complessa che ha segnato profondamente le vite di molti.