L’alzheimer, una malattia neurodegenerativa che colpisce circa il 5% delle persone oltre i 60 anni, sta al centro di un fervore scientifico che promette potenziali sviluppi nella diagnostica e nelle terapie. In Italia, si stima che i pazienti affetti siano circa 500.000, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità. I recenti progressi nella ricerca non nascono solo da necessità sociali e sanitarie, ma anche da significativi interessi commerciali. Ma quali sono i veri risultati raggiunti in questo campo? L’esperto Paolo Maria Rossini del Dipartimento di Neuroscienze dell’Irccs San Raffaele di Roma fa chiarezza sulla situazione attuale.
l’importanza della diagnosi precoce
La crescente attenzione della ricerca
Nel panorama di studi clinici e articoli scientifici, emerge un crescente interesse nella diagnosi precoce dell’alzheimer e delle dementi correlate. Ogni settimana vengono pubblicati nuovi articoli che presentano test diagnostici progettati per identificare la malattia prima della comparsa dei sintomi. Rossini sottolinea che “la disponibilità di biomarcatori accurati rappresenta un passo significativo nella lotta contro questa malattia.” Tuttavia, è importante notare che oltre alla rilevanza scientifica, c’è anche un forte potere commerciale associato all’introduzione di questi test nel mercato, specialmente attraverso i canali di vendita al dettaglio come le farmacie.
I rischi dei falsi positivi
La sfida principale in questo ambito include la gestione dei falsi positivi. Nonostante i progressi nella scoperta di biomarcatori, ci si deve confrontare con il rischio che un individuo possa ricevere una diagnosi di malattia neurodegenerativa sulla base di test clinici, senza manifestare mai sintomi clinici reali. Rossini osserva che “studi recenti suggeriscono che circa il 30% delle persone che presentano segni biologici di alzheimer non svilupperanno mai i sintomi clinici.” Ciò implica che una diagnosi prematura potrebbe avere conseguenze devastanti sulla vita di queste persone, generando ansia e isolamento sociale.
sviluppi nei trattamenti farmacologici
Monoclonali approvati negli Stati Uniti
Sul fronte farmacologico, l’ente statunitense per il farmaco ha recentemente approvato tre anticorpi monoclonali: Aducanumab, Lecanemab e Donanemab. Questi farmaci sono progettati per eliminare i depositi di beta-amiloide, una proteina alla base dell’alzheimer. Tuttavia, l’agenzia europea ha rifiutato di approvare i primi due farmaci per mancanza di sufficiente efficacia clinica. Rossini chiarisce che, pur riducendo la deposizione di beta-amiloide, “queste terapie non arrestano la progressione della malattia,” evidenziando una discordanza tra i risultati biologici e clinici.
Prospettive future
Attualmente sono in fase di sperimentazione altri trattamenti, alcuni dei quali mirano a ridurre altri agenti neurodegenerativi oltre alla beta-amiloide. Questi studi rappresentano un passo importante verso terapie più efficaci e accessibili. Tuttavia, i costi elevati restano un’ulteriore barriera per la loro diffusione nei vari sistemi sanitari.
il progetto ‘interceptor’ e la ricerca di biomarcatori
Un approccio innovativo in Italia
Il progetto Interceptor rappresenta un’iniziativa pionieristica in Italia, mirata alla creazione di un modello diagnostico che unifichi test neuropsicologici e biomarcatori sostenibili. Questa ricerca ambisce a fornire strumenti utili per la diagnosi precoce dell’alzheimer, contribuendo a una migliore gestione integrata della malattia. Secondo Rossini, “l’Italia si posiziona in un ruolo guida a livello globale nel testare approcci in grado di identificare precocemente le persone a rischio di sviluppare la malattia.”
La necessità di un approccio olistico
La ricerca non si limita a identificare biomarcatori, ma esplora anche i fattori di resilienza che possono permettere a pazienti a rischio di non sviluppare la malattia. “Spongeggare questo campo potrebbe incentivare lo sviluppo di trattamenti che potenziano tali fattori,” migliorando il benessere di chi è geneticamente predisposto all’alzheimer.
il futuro della ricerca sull’alzheimer
Verso una visione collettiva
Rossini afferma che è fondamentale una “spinta collettiva, simile a quella vista durante la campagna vaccinale contro il COVID-19.” È necessario unire le forze – ricercatori, autorità sanitarie e opinion leaders – per elevare la lotta contro l’alzheimer. L’obiettivo finale è raggiungere una cura efficiente e universalmente accessibile nel minor tempo possibile.
L’importanza dell’autonomia dei pazienti
Infine, Rossini sottolinea un principio cardine nello sviluppo delle terapie: “allungare il più possibile la fase di autonomia dei pazienti.” Questo approccio non solo allevia il peso sulle famiglie, ma assicurerebbe anche un miglioramento della qualità della vita per le persone colpite dalla malattia. Rossini conclude rimarcando la responsabilità di tutta la comunità scientifica, politica e sociale nel creare un futuro migliore per i prossimi pazienti affetti da alzheimer e altre demenze.
Ultimo aggiornamento il 13 Agosto 2024 da Sara Gatti