Reggio Calabria è al centro di un importante sviluppo legato alla lotta contro la criminalità organizzata. Antonino Randisi, noto esponente delle cosche di ‘ndrangheta, ha deciso di diventare collaboratore di giustizia, rivelando informazioni vitali alla Direzione distrettuale antimafia. La sua scelta segna un punto di svolta nella lotta contro le organizzazioni mafiose, in particolare quelle attive nella zona nord della città .
Chi è Antonino Randisi e la sua scelta di collaborare
Antonino Randisi, originario di Archi, ha fatto parte del clan guidato da Luigi Molinetti, soprannominato “la Belva”. Fino a un recente passato, Randisi era coinvolto nel processo “Epicentro”, dal quale è stato assolto lo scorso luglio. Quest’assoluzione ha aperto la strada alla sua decisione di rivelare dettagli sui legami mafiosi e sulle pratiche illecite. Durante le sue prime dichiarazioni ai magistrati, Randisi ha espresso il desiderio di cambiare vita e superare i passi falsi del passato: “Intendo superare gli errori del passato e voglio cambiare vita”.
Le motivazioni che lo hanno spinto a collaborare con la giustizia sembrano radicate in una profonda riflessione personale. Randisi ha dichiarato di non temere la detenzione e ha manifestato la volontà di rimediare ai propri errori. Questa presa di posizione non è solo la scelta di un uomo in fuga dalla giustizia, ma un vero e proprio tentativo di rompere con un passato che ha definito come “una vita che non desidero più”.
Le rivelazioni cruciali nel processo “Gallicò”
Una parte significativa della testimonianza di Randisi è stata focalizzata sul processo “Gallicò”, che analizza le tensioni tra i vari clan nella regione. Durante il deposito di quattro verbali, Randisi ha fornito dettagli sulle dinamiche di collaborazione e le alleanze tra diverse famiglie mafiose. Ha affermato di aver ricevuto “la dote dello sgarro” da Carmine De Stefano e ha rivelato i luoghi di stoccaggio delle armi utilizzate dagli affiliati.
In merito ai legami mafiosi, Randisi ha descritto come le decisioni riguardanti il territorio di Gallico venissero suddivise equamente tra il gruppo Molinetti e i clan di Nino Crupi e Mario Corso. Queste informazioni apportano nuova luce sulla gestione delle operazioni illecite nella zona, dove le estorsioni e altre attività criminose erano orchestrate in modo meticoloso.
Dettagli su omicidi e operazioni mafiose
Le dichiarazioni di Randisi non si sono limitate alle relazioni tra i clan, ma hanno incluso anche informazioni su omicidi passati, tra cui quello di Paolo Munno. Questo pregiudicato fu assassinato nel 2012 all’interno di un circolo ricreativo ad Archi. La testimonianza mette in risalto l’operato di Giuseppe Molinetti, figlio del boss, il quale sarebbe stato l’esecutore materiale del delitto, assistito da Ciccio Saraceno. L’arma utilizzata per l’omicidio era una pistola a tamburo, un particolare che complica ulteriormente il quadro investigativo.
Questi elementi rappresentano non solo nuove prove per la Dda di Reggio Calabria, ma anche un’opportunità per l’accusa di costruire un caso più solido contro i membri delle cosche di ‘ndrangheta. La testimonianza di Randisi potrebbe rivelarsi determinante per il prosieguo delle indagini e per la progressione dei processi in corso, riportando l’attenzione della società sull’importanza della collaborazione dei pentiti nella lotta alla mafia.
Con queste rivelazioni, Reggio Calabria si trova nuovamente sotto i riflettori della giustizia, mentre le indagini continuano e le autorità cercano di far luce su un fenomeno complesso e radicato.
Ultimo aggiornamento il 31 Gennaio 2025 da Donatella Ercolano