Il dramma di una vita segnata da conflitti familiari e abusi di sostanze emerge durante il processo a Michele Fresi, il giovane di 28 anni accusato di aver ucciso il padre la notte del 27 dicembre 2023. La testimonianza di Fresi mette in luce non solo l’evento tragico, ma anche un contesto familiare complesso e disturbato. La vicenda, che ha scosso l’opinione pubblica, ritorna sotto la lente dei giudici della Corte d’Assise di Sassari, dove Michele si è presentato per rispondere alle domande su quella notte fatale.
Michele Fresi e la sua testimonianza in aula
Durante l’udienza, Michele ha cercato di spiegare cosa sia accaduto il 27 dicembre, pur ammettendo di avere molti vuoti di memoria. “Avevo preso dieci francobolli di Lsd e stavo molto male,” ha dichiarato, rivelando l’uso di sostanze stupefacenti che ha condizionato le sue azioni. “Ho preso la cocaina per cercare di stare meglio, ma non è andata così.” Le parole di Michele evidenziano un’esistenza permeata da una sofferenza profonda, manifestata in episodi di violenza. La mazza da baseball usata per colpire il padre Giovanni, orafo di 58 anni, rappresenta un tragico culminare di una notte segnata da confusione e aggressività .
Il contesto familiare e i conflitti quotidiani
L’imputato ha parlato della sua infanzia, caratterizzata da tensioni, in particolare con la madre. “Mi ricordo la giornata del 26 dicembre, non ricordo quella di Natale. Non l’ho sentita durante le feste, né per i miei compleanni,” ha raccontato. Le parole di Michele pongono l’accento su una solitudine affettiva che lo ha accompagnato negli anni, amplificando il suo stato di fragilità emotiva. Livelli di comunicazione inesistenti con la madre, testimoniati dal fatto che non riceveva neanche un messaggio da lei da quando si trovava in carcere, rendono il quadro ancora più deprimente.
La sera dell’omicidio, Michele, in preda a un mix di alcol e droghe, ha aggredito una giovane donna con la quale aveva trascorso la serata. Il suo comportamento violento è culminato nella chiamata al padre, giunto con l’intento di calmarlo. Il risultato è stato fatale: l’aggressione ha preso una piega inattesa e letale, lasciando un segno indelebile non solo nella vita di Michele, ma anche di tutta la comunità di Arzachena.
Le conseguenze della notte tragica
Dopo aver colpito il padre, Michele ha esteso la sua violenza anche nei confronti delle forze dell’ordine, aggredendo due carabinieri intervenuti per fermarlo. Durante gli interrogatori, Michele ha affermato di essere stato in uno stato di estrema agitazione, tanto da sostenere di avere visto “gli alieni” e di sentirsi minacciato. Queste dichiarazioni, destinate a influenzare il processo, hanno lasciato spiazzati sia il pubblico che il giudice. “Sto ricostruendo solo adesso quello che è successo,” ha dichiarato, segnalando una presa di coscienza tardiva delle sue azioni.
Le dinamiche del processo continuano a svilupparsi, con l’attesa per la prossima udienza fissata per il 4 marzo, durante la quale verranno ascoltati esperti psicologi e membri della sua famiglia. La porta resta aperta per comprendere non solo le motivazioni dietro l’omicidio, ma anche le condizioni sociali e psicologiche che hanno portato Michele a una situazione così tragica.
Sassari è ora in attesa di conoscere l’esito di questa drammatica vicenda, che mette in luce le fragilità umane e i drammi familiari che possono culminare in atti irreparabili.