Un drammatico episodio ha scosso Varese il 6 maggio scorso, quando Marco Manfrinati, un avvocato di 42 anni, è stato accusato dell’omicidio dell’ex suocero, Fabio Limido, e del tentato omicidio della sua ex moglie, Lavinia Limido. La questione giuridica riguarda le condizioni psicologiche di Manfrinati al momento dei fatti, una tematica che è emersa con forza durante l’udienza preliminare tenutasi oggi.
Le motivazioni della richiesta di perizia psichiatrica
Fabrizio Busignani, legale di difesa del accusato, ha presentato una richiesta di perizia psichiatrica per valutare lo stato mentale di Manfrinati. Questo passaggio è stato reso necessario, secondo quanto dichiarato da Busignani al termine dell’udienza, da una consulenza di parte che suggerisce una condizione psicopatologica in evoluzione. Il difensore ha sottolineato che, dal 2 luglio 2022, quando il tribunale ha deciso di togliere al suo assistito la custodia del figlio minore, la salute mentale di Manfrinati è andata deteriorandosi. A giustificazione della richiesta, Busignani ha citato la documentazione clinica già presente nel fascicolo del processo, evidenziando come il suo assistito fosse in cura da diversi psichiatri e terapeuti, e come i registri del carcere attestino che Manfrinati è attualmente in terapia psichiatrica.
La difesa spera così di dimostrare che il suo cliente, all’epoca dei fatti, potesse essere parzialmente incapace di intendere e di volere, a causa del suo stato mentale. Questa strategia legale mira a collocare Manfrinati in una cornice di mancata responsabilità per le sue azioni, considerando i profondi traumi personali subiti negli ultimi anni.
L’opposizione alla perizia dal pubblico ministero e dalla parte civile
Dall’altra parte del processo, sia il pubblico ministero che l’avvocato di parte civile, Fabio Ambrosetti, si sono opposti fermamente alla richiesta della difesa. Ambrosetti ha rilevato come Manfrinati, in difesa della propria genitorialità, fosse stato descritto come una persona equilibrata e un ottimo padre, prima degli eventi contestati. Questa posizione viene sottolineata dall’avvocato, che ha affermato: “Non è un pazzo, ma un assassino”. Secondo lui, quando si è trattato di mostrare la propria idoneità a gestire incontri con il figlio, Manfrinati ha sempre dato prova di stabilità e competenza.
La posizione della parte civile si basa sull’argomentazione che le sue azioni, durante i momenti cruciali, non possano essere giustificate da una presunta incapacità mentale. La fatale collisione tra la visione della difesa e quella dell’accusa evidenzia le complessità e le tensioni che caratterizzano questo caso.
La decisione del giudice e le attese future
Il giudice, Marcello Buffa, al termine dell’udienza, ha rimandato la decisione in merito alla richiesta di perizia psichiatrica all’8 aprile. Questo ritardo lascia aperte molteplici interpretazioni sulla sorte di Manfrinati e sulla direzione che prenderà il processo. La società attende con trepidazione l’esito, considerando le implicazioni di un eventuale riconoscimento della non responsabilità per il reato di omicidio, che potrebbe avere un profondo impatto sia sul percorso legale che sulle vite delle persone coinvolte, in particolare sui figli della coppia.
La situazione rimane così in bilico, in attesa che la giustizia faccia il suo corso in un contesto carico di emozione e tensione. La comunità di Varese e non solo, si prepara a seguire l’evoluzione di questo caso che pone interrogativi drammatici e fondamentali sulla responsabilità e sulla fragilità umana.