Il processo legato all’omicidio di Nada Cella, avvenuto nel 1996, continua a rivelare scottanti dettagli sul modo in cui le indagini furono condotte. Durante le audizioni recenti, i testimoni hanno fornito informazioni che mettono in discussione le azioni dell’allora pubblico ministero, facendo emergere una rete di omertà e confusione tra le forze dell’ordine. Al centro della vicenda ci sono Anna Lucia Cecere, accusata dell’omicidio, e Marco Soracco, il datore di lavoro della vittima.
La scena del crimine: un racconto agghiacciante
Le prime testimonianze in aula hanno riportato alla luce la drammaticità della scena del crimine, descritta come un luogo di orrore. Luciano Campodonico, un agente delle volanti che per primo intervenne sul posto, ha raccontato le impressioni immediate all’arrivo nell’ufficio di via Marsala. “C’era sangue sui muri e sui mobili. Era evidente che c’era stata una aggressione,” ha affermato Campodonico, rimarcando come la situazione fosse già compromessa dal tentativo di pulizia effettuato da Marisa Bacchioni, la madre di Nada. L’intervento immediato degli agenti di polizia si rivelò cruciale, anche se la scena non era più intatta.
Le indagini tra confusione e mancanze
L’ex dirigente del commissariato di Chiavari, Pasquale Zazzaro, ha sottolineato una serie di lacune nelle comunicazioni tra le diverse forze di polizia che hanno collaborato all’indagine. In aula, Zazzaro ha dichiarato di aver appreso di indagini parallele condotte dai carabinieri solo attraverso informazioni non ufficiali. “Lo abbiamo saputo attraverso il nostro personale che andava in giro,” ha spiegato Zazzaro. Ha messo in luce come l’allora pubblico ministero Filippo Gebbia non avesse deciso di informare il suo team circa le indagini che si stavano svolgendo, creando una situazione di incredulità e confusione tra le forze di polizia.
Il presidente della corte, Massimo Cusatti, ha chiarito che tali mancanze possono aver inciso sul corso delle indagini, ponendo interrogativi su come un’informazione cruciale non sia stata condivisa in modo tempestivo e adeguato. La mancanza di comunicazione appare come un punto centrale per comprendere l’andamento delle indagini sull’omicidio di Nada, con risvolti potenzialmente devastanti per la ricerca della verità.
Il segreto confessionale e gli ostacoli nella ricerca della verità
Un altro aspetto cruciale emerso durante il processo è la questione del segreto confessionale opposto da frate Lorenzo, che avrebbe potuto fornire informazioni vitali per le indagini. Giuseppe Gonan, ex dirigente della sezione omicidi della squadra mobile, ha rivelato come un possibile testimone avesse chiesto l’intercessione del frate per rivelare dettagli su un’altra persona coinvolta nel delitto. Tuttavia, la protezione del segreto confessionale ha ostacolato il dialogo e la ricerca della verità. Gonan ha sottolineato la frustrazione di non aver ottenuto informazioni essenziali che avrebbero potuto indirizzare l’inchiesta in modo più chiaro fin dall’inizio, contribuendo a un quadro di incertezza su uno dei delitti più inquietanti della storia recente di Chiavari.
La gestione complessiva delle indagini, contrassegnata da elementi di opacità e persistenza della diffidenza tra le istituzioni coinvolte, costituisce un elemento fondamentale per comprendere le sfide che gli investigatori hanno dovuto affrontare sin dai primi momenti successivi al ritrovamento del corpo di Nada Cella. La continua emersione di dettagli in questo processo potrà offrire al pubblico e alle famiglie coinvolte un quadro più chiaro sugli eventi di quel tragico giorno e su come le indagini siano state condotte.