Negli ultimi giorni il tema delle pensioni è tornato a occupare le prime pagine. Il motivo è chiaro: il governo Meloni si prepara a varare un nuovo provvedimento per il prossimo 1° maggio, con al centro la questione dell’età pensionabile. Una riforma molto attesa, ma che secondo più di un osservatore potrebbe rivelarsi insufficiente, se non addirittura una mossa elettorale mascherata da intervento strutturale.
Contrariamente a quanto sperato da molti, non ci sarà alcuna sospensione generale dell’adeguamento dell’età pensionabile. La norma resterà legata alle aspettative di vita, come previsto dalla legge Fornero. Questo significa che dal 2027 si tornerà a fare i conti con un aumento di tre mesi, che peserà soprattutto su chi aveva già fissato l’uscita dal lavoro. Secondo Elsa Fornero, ex ministra del Lavoro e ideatrice della riforma del 2011, per bloccare l’aumento servirebbero almeno 4 miliardi di euro. Il governo, invece, dispone al momento di soli 200 milioni, cifra che — come ha sottolineato la stessa Fornero — non basta neanche ad avviare una copertura seria.
Tutela per gli esodati, ma per pochi
Il provvedimento annunciato si concentrerà principalmente sulla categoria degli esodati, circa 44 mila lavoratori che rischiano di restare senza stipendio e senza pensione. Parliamo di persone che hanno lasciato il lavoro attraverso meccanismi come l’isopensione o il contratto di espansione, e che oggi si ritrovano penalizzati dall’aumento automatico dell’età pensionabile. Il governo vuole evitare che questi lavoratori subiscano il cosiddetto “buco contributivo” e ha intenzione di garantire il diritto alla pensione di vecchiaia una volta raggiunti i 67 anni, senza subire l’estensione di tre mesi.

Una misura di buon senso, che cerca di rispondere a un problema reale, ma che riguarda solo una parte della platea. Per tutti gli altri, infatti, la situazione resta bloccata. A oggi, la possibilità che l’età pensionabile aumenti nel 2027 è concreta. Il tema è trasversale e tocca milioni di cittadini. Anche in Parlamento, al di là dei colori politici, cresce la consapevolezza che serva una soluzione definitiva. Il Partito Democratico, ad esempio, ha depositato una proposta di legge per fissare l’età di pensionamento a 67 anni, considerandola un limite invalicabile.
Ma non basta una proposta per placare l’incertezza. L’impressione, al momento, è che il governo si stia muovendo a piccoli passi, senza un disegno di riforma organico. E per chi sta cercando di pianificare la propria uscita dal lavoro, ogni mese perso nella definizione delle regole diventa un problema in più.
Serve una riforma vera, non un annuncio
Il nodo vero è proprio questo: al di là dei titoli e delle dichiarazioni, manca ancora un intervento strutturale capace di regolare in modo chiaro l’accesso alla pensione nei prossimi anni. Finché non ci sarà, resteranno dubbi, incertezze e contraddizioni.
La promessa di affrontare tutto nel decreto del 1° maggio è importante, ma non risolve il quadro. Perché se è vero che una tutela per gli esodati è sacrosanta, è altrettanto vero che serve una visione più ampia, capace di dare certezze a milioni di lavoratori.