L’8 agosto 2024, la giunta regionale dell’Abruzzo ha approvato la controversa delibera n. 509, suscitando una forte indignazione tra ambientalisti e favorevoli alla conservazione della fauna selvatica. Il provvedimento prevede l’abbattimento di 469 cervi in due aree della provincia dell’Aquila in vista dell’imminente apertura della stagione di caccia, programmata per il 14 ottobre. La decisione ha sollevato una serie di interrogativi e polemiche sulla gestione della fauna selvatica e l’uso della caccia come soluzione ai problemi di sovrappopolazione animale.
Il tariffario per la caccia al cervo
La nuova normativa introduce un piano tariffario che varia a seconda dell’età e del sesso degli animali cacciati, nonché della residenza dei cacciatori. Per i residenti abruzzesi, i costi partono da 50 euro per un cervo cucciolo, aumentando a 100 euro per le femmine, e raggiungendo i 250 euro per i maschi adulti. Per i cacciatori non residenti in Abruzzo, le tariffe sono significativamente più alte, con un massimo di 600 euro per un maschio adulto.
Un ulteriore elemento di novità è rappresentato dai trofei di caccia: il prezzo per i maschi adulti con trofeo verrà determinato da esperti autorizzati nel settore, nominati dall’Ambito Territoriale di Caccia . Sarà dunque un esperto a stabilire il valore dei trofei, e lo svolgimento delle attività di caccia porterà alla raccolta di fondi destinati a questo ambito. Questo sistema di tariffazione ha generato discussioni sulla commercializzazione della fauna selvatica, presentato da molti come un passo verso la mercificazione di un patrimonio naturale.
Le reazioni da parte di ambientalisti e istituzioni
Il provvedimento, oltre a suscitare l’irritazione di diversi gruppi ecologisti, ha anche attirato l’attenzione di autorità di ricerca e protezione ambientale, come l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale . Questo ente ha espresso dubbi sulla necessità di tale abbattimento, sottolineando che la densità media di cervi riscontrata nelle aree interessate si attesta intorno ai 2,58 e 2,39 capi per chilometro quadrato. Questi valori sono solo marginalmente oltre la soglia di due capi per chilometro quadrato, che giustificherebbe una caccia selettiva.
Il confronto con altre aree, come l’Appennino tosco-emiliano, dove la densità di popolazione di cervi è considerevolmente più alta, fa emergere interrogativi sulla validità della decisione assunta dalla Regione. Le statistiche sembrano indicare una gestione non ottimale della situazione, confermando la posizione di coloro che ritengono l’abbattimento non giustificato.
La posizione del WWF e iniziative di mobilitazione
Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente , ha dichiarato con veemenza la sua opposizione al provvedimento, etichettandolo come un’espressione di “commercializzazione” della fauna selvatica. A suo avviso, il patrimonio faunistico dovrebbe essere considerato un bene comune, tutelato anziché sfruttato a favore di privati.
Nel frattempo, il WWF ha fatto sentire la propria voce lanciando una petizione online che, in breve tempo, ha raccolto oltre 76.000 firme. Questa mobilitazione chiede alla Regione di interrompere l’applicazione della delibera 509 e di aprire un dialogo con le parti interessate al fine di sviluppare un piano di gestione faunistica alternativo, che preveda metodi non letali per affrontare le problematiche legate alla fauna selvatica. L’obiettivo è quello di ridurre i danni all’agricoltura senza compromettere la biodiversità e l’equilibrio ecologico, proponendo un approccio più sostenibile e rispettoso della fauna.