Il 25 febbraio a Alessandria, si riaprirà un capitolo drammatico della storia italiana, a più di cinquant’anni dagli eventi che segnarono gli anni di piombo. Il processo coinvolgerà i protagonisti di una sparatoria tra carabinieri e brigatisti rossi avvenuta il 5 giugno 1975 alla Cascina Spiotta. L’avvocato Sergio Favretto, che rappresenta i familiari di Giovanni D’Alfonso, appuntato di carabinieri ucciso durante l’episodio, ha chiarito l’importanza di questo processo come un’opportunità per ripristinare giustizia e verità.
Il contesto storico e l’episodio della Cascina Spiotta
La Cascina Spiotta si trova nelle vicinanze di Alessandria e divenne tristemente nota come il luogo dove le Brigate Rosse tennero in ostaggio Vittorio Vallarino Gancia, un imprenditore del vino. Il 5 giugno 1975, una pattuglia dei carabinieri, dopo aver localizzato il covo, intervenne per liberare Gancia. Lo scontro a fuoco che ne seguì portò alla morte di Giovanni D’Alfonso e della moglie di Renato Curcio, una delle figure chiave delle Brigate Rosse. Questo episodio è emblematico del clima di terrore e violenza che caratterizzò quel periodo, segnato da eventi drammatici che lasciarono un segno indelebile nella memoria collettiva italiana.
Da allora, la ricerca della verità ha attraversato decenni di oblio e di difficoltà, tanto che l’avvocato Favretto ha sottolineato la necessità di ascoltare i protagonisti rimasti. A distanza di tempo, l’appello alla giustizia diventa una questione di rispetto per la memoria di chi ha perso la vita, mentre i familiari delle vittime continuano a cercare risposte. È proprio in questo contesto che si inserisce il nuovo sviluppo processuale, un’occasione per affrontare i fantasmi del passato.
I protagonisti del processo: chi sono gli imputati
Nel processo saranno chiamati a rispondere delle loro azioni Renato Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini. Curcio, cofondatore delle Brigate Rosse, e Moretti, uno dei principali leader dell’organizzazione, hanno rispettivamente 84 e 79 anni. Anche Azzolini, militante brigatista, ha 82 anni. La loro età avanzata ha portato a riflessioni da parte dei legali sulla validità di un processo che possa portare a una vera giustizia. L’avvocato Davide Steccanella ha ricordato che “la pena dovrebbe anche tendere al reinserimento sociale,” un processo già avvenuto per molti individui da decenni.
Le accuse che pendono su di loro non sono da poco. Curcio e Moretti devono rispondere di concorso in omicidio, nonostante non siano stati presenti durante il conflitto a fuoco. Le evidenze storiche e il contesto che ha alimentato il conflitto passato portano a valutazioni giuridiche complesse, atteso che “le ragioni ideologiche e le strategie di quegli anni furono indirizzate verso atti di violenza e ritorsione.”
Le indagini e le nuove tecnologie nella ricerca della verità
Un’attenzione particolare merita il lavoro svolto dalla procura di Torino, che nel dicembre 2021 ha riaperto le indagini a seguito di un esposto presentato dal figlio dell’appuntato D’Alfonso, Bruno. In questo contesto, le autorità hanno avanzato l’ipotesi che “mister X”, un brigatista rimasto ignoto, possa essere proprio Lauro Azzolini. A Curcio e Moretti è stato attribuito il ruolo di mandanti nel sequestro di Gancia, eventi che culminarono tragicamente con la morte di D’Alfonso.
Le indagini hanno visto l’impiego di metodologie moderne, come la mappatura 3D dei luoghi acquisita tramite droni, che si affiancano alle tradizionali tecniche di indagine. Un approccio che non solo evidenzia un ritrovato impegno delle autorità nella ricerca della verità, ma cerca anche di superare le limitazioni imposte dal tempo. L’avvocato Favretto ha definito questa inchiesta come “la più completa e aggiornata delle ultime generazioni,” ponendo l’accento su come le fonti storiche siano state abbinate alle tecnologie contemporanee per fare chiarezza sugli eventi di quel periodo.
La difesa e le contestazioni sulla legittimità del processo
Da parte della difesa, è previsto un ampio dibattito su quanto accaduto durante le indagini e sull’annullamento del rinvio a giudizio di Lauro Azzolini. Questo militante era stato già prosciolto nel 1987, ma la documentazione dell’epoca andò perduta a causa di un’alluvione nel 1994. Il legale Steccanella solleva questioni legittime, evidenziando che “non si può riprocessare un individuo a causa della perdita di evidenze o atti giudiziari.”
Curcio, attraverso un memoriale consegnato alle autorità, ha fornito la sua versione dei fatti, sottolineando il fatto che, essendo evaso da poco, non era in contatto con gli altri membri mentre richiamava l’attenzione su questioni irrisolte legate alla morte della moglie, anch’essa colpita negli scontri.
Resta ora da attendere l’esito di questo processo, che rappresenta non solo un momento giuridico, ma anche una riflessione profonda sulla memoria collettiva e sull’eredità di un periodo drammatico.