Un caso di maltrattamenti in famiglia ha portato all’arresto di un 36enne, originario del Bangladesh e residente a Rimini da 15 anni. L’uomo è stato messo in carcere dopo una denuncia della moglie, che ha raccontato una tormentata vita coniugale caratterizzata da abusi fisici e psicologici. L’attività investigativa è stata condotta dalla Polizia di Stato, sotto la direzione del sostituto procuratore Davide Ercolani, e ha portato a un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal GIP Raffaele Deflorio.
La denuncia della moglie e le condizioni di vita
Un matrimonio combinato e un ambiente di sofferenza
La vicenda ha avuto inizio quattordici anni fa con un matrimonio combinato in Bangladesh. Alla sua arriva in Italia, la donna si è trovata in una situazione di grande disagio. Il marito, infatti, l’ha costretta a vivere in un appartamento sovraffollato dove condivideva lo spazio vitale con ben 16 persone. Questa condizione di vita è stata descritta dalla donna come una forma di schiavitù, in quanto era costretta a provvedere a tutte le necessità degli altri abitanti della casa.
La donna ha rivelato i dettagli della sua vita quotidiana, caratterizzata da umiliazioni e violenze. “Mi sentivo come un oggetto, più che una persona”, ha raccontato, evidenziando il livello di oppressione e abuso. Le violenze non si limitavano solo al lavoro domestico, ma si manifestavano anche in atti di violenza fisica e sessuale che l’hanno portata a vivere in uno stato di terrore costante.
Le violenze subite
La testimonianza fornita dalla donna alle volontarie di “Rompi il silenzio” è stata agghiacciante. Ha denunciato ripetuti episodi di violenza da parte del marito, ma anche atti criminali perpetrati da altri membri della famiglia, come il suocero e il cognato. Con un tono carico di emozione, ha descritto episodi in cui è stata violentata, aggredita e picchiata. “Ogni volta che provavo a ribellarmi, ricevevo solo insulti e colpi”, ha raccontato, sottolineando le brutalità inflitte dal marito che, in un attacco di furia, le urlava frasi minatorie come “sei brutta, se non ti ammazzo qui lo faccio in Bangladesh”.
È chiaro che per la donna la vita quotidiana era una lotta continua per la sopravvivenza. Dopo esser riuscita a allontanarsi una prima volta dal marito con i figli, ha subito pressioni che l’hanno costretta a tornare. Tuttavia, una volta tornata a casa, l’aggressione è reiterata e, spaventata, ha deciso di contattare l’associazione per chiedere aiuto.
L’intervento delle autorità e il rifugio
L’azione della Polizia di Stato
Dopo che la donna ha chiesto assistenza, la squadra mobile della Questura di Rimini ha preso in carico la denuncia, avviando immediatamente le indagini. Gli agenti, coordinati dal sostituto procuratore Davide Ercolani, hanno raccolto prove e testimonianze, raccogliendo una serie di elementi che hanno confermato la gravità della situazione. Inoltre, la denuncia è stata supportata da una serie di dettagli circostanziati che hanno reso evidente il pattern di abuso.
L’accoglienza in una casa protetta
Attualmente, la donna si trova in una casa protetta, dove può ricevere supporto e assistenza per affrontare la difficile situazione. Questo passo è stato fondamentale per permetterle di ricostruire la propria vita in sicurezza, lontana dalle minacce e dalle violenze subite. L’associazione “Rompi il silenzio” ha messo a disposizione personale preparato per accompagnare le vittime di violenza nel processo di recupero e reintegrazione, offrendo servizi di supporto psicologico e pratico.
Il caso rimane sotto osservazione delle autorità competenti e ha aperto un’importante riflessione sulla necessità di combattere la violenza domestica e di proteggere le vittime in situazioni simili. La storia della donna di Rimini è un richiamo alla sensibilizzazione e all’azione contro ogni forma di abuso, evidenziando l’importanza di reti di supporto e di intervento tempestivo.