La recente sentenza del Tar del Lazio ha confermato le nuove tariffe del contributo di soggiorno per l’anno 2023, approvate da Roma Capitale. La decisione arriva in risposta a un ricorso presentato da 65 strutture ricettive della città , che poneva interrogativi sulla legittimità delle nuove disposizioni. I giudici hanno ritenuto il ricorso infondato, analizzando vari aspetti della normativa in vigore.
Il ricorso delle strutture ricettive e le posizioni del Tar
Le 65 strutture ricettive che hanno fatto ricorso lamentavano la violazione della normativa in materia di imposta di soggiorno. Sostenevano che l’approvazione delle tariffe senza un coinvolgimento attivo delle associazioni rappresentative dei titolari fosse irregolare. Il Tar, tuttavia, ha riconosciuto che il contributo di soggiorno stabilito da Roma Capitale non rientra esattamente nei normali confini dell’imposta di soggiorno. La sentenza ha chiarito che, benché esista una connessione tra i due tributi in relazione al soggiorno presso strutture ricettive, il contributo in questione ha natura autonoma e non è soggetto alle stesse disposizioni.
Nella pronuncia, i giudici hanno espresso dubbi sulla sussistenza dell’interesse dei ricorrenti a contestare la delibera. Nonostante ciò, hanno affrontato la questione nel merito, dichiarando il ricorso manifestamente infondato. Hanno evidenziato che il decreto legislativo pertinente richiede il coinvolgimento delle associazioni di categoria solo per l’imposta di soggiorno, escludendo il contributo di soggiorno dal medesimo obbligo. Questo aspetto fondamentale ha rafforzato la posizione di Roma Capitale, che si difende con argomenti legali ben strutturati.
Differenze tra contributo di soggiorno e imposta di soggiorno
Un punto cruciale emerso dalla sentenza è la distinzione tra contributo di soggiorno e imposta di soggiorno. Secondo i giudici, il contributo di soggiorno è considerato un’entrata tributaria autonoma, con logiche e fonti diverse rispetto all’imposta di soggiorno, che è regolata da disposizioni specifiche. Questa differenza sostanziale invalida l’opinione di chi chiedeva un’applicazione analogica delle norme che disciplinano esclusivamente l’imposta di soggiorno.
Il Tar ha sottolineato che laddove il legislatore avesse inteso equiparare le due figure tributarie, lo avrebbe specificato chiaramente. Ciò implica che le modalità di calcolo e le tariffe stabilite per il contributo di soggiorno possono essere definite senza la necessità di considerare le norme che regolano l’imposta di soggiorno. In questo contesto, il dibattito sul coinvolgimento del mondo associativo nella determinazione delle tariffe viene accantonato.
La legittimità degli aumenti tariffari
In merito agli aumenti tariffari contestati nei ricorsi, il Tar ha osservato che le strutture ricorrenti non hanno presentato prove conclusive per sostenere la loro posizione. I giudici hanno pertanto dato ragione all’Amministrazione, che ha dimostrato come le tariffe approvate da Roma Capitale rientrino nella media di quelle applicate da altri Comuni italiani, risultando anche inferiori rispetto a quelle di altre capitali europee.
La sentenza evidenzia la necessità di un’adeguata giustificazione per contestare le politiche tariffarie, aspetto su cui i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare l’asserita sproporzione. Questo riconoscimento da parte del Tar potrebbe avere implicazioni significative per future richieste e ricorsi da parte di strutture ricettive nel capoluogo. La decisione, quindi, si configura non solo come una conferma dell’operato di Roma Capitale ma anche come un precedente utile per chiarire le dinamiche tra contributo e imposta di soggiorno.
Ultimo aggiornamento il 29 Novembre 2024 da Marco Mintillo