La comunità di Pioltello e le famiglie delle vittime attendono con trepidazione la sentenza di primo grado nell’ambito del processo sul disastro ferroviario che il 25 gennaio 2018 ha tragicamente colpito la linea Cremona-Milano Porta Garibaldi. Sette anni fa, a causa del deragliamento di un treno, persero la vita tre donne e più di 200 persone rimasero ferite, alcuni con gravi traumi psicologici. Domani si chiuderà un capitolo doloroso per tutti coloro coinvolti, con l’auspicio di una giustizia che possa finalmente fare luce sui responsabili.
Accuse e richieste di condanna
Nel processo in corso, le figure accusate includono ex dirigenti, dipendenti e tecnici di Rete Ferroviaria Italiana . Le contestazioni variano dalla disastro ferroviario colposo all’omicidio e lesioni colpose, fino all’omissione dolosa delle cautele in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. I pubblici ministeri Maura Ripamonti e Leonardo Lesti hanno richiesto pesanti condanne, tra cui spicca quella di 8 anni e 4 mesi per Maurizio Gentile, ex amministratore delegato di Rfi, nonché per Umberto Lebruto, ex direttore di produzione.
Le richieste di condanna includono 7 anni e 10 mesi per Vincenzo Macello, ex direttore territoriale della Lombardia, e 6 anni e 10 mesi per Andrea Guerini e Marco Albanesi. Al termine del processo, i pm hanno suggerito l’assoluzione per diversi altri imputati tra cui Moreno Bucciantini, Ivo Rebai e Marco Galliani. Un punto controverso è anche la sanzione pecuniaria proposta per Rfi, ammontante a 900mila euro, un aspetto che solleva ulteriori dibattiti sull’affidabilità e la responsabilità delle grandi aziende nella gestione della sicurezza ferroviaria.
Le dinamiche del deragliamento
Le indagini effettuate dalla Polizia ferroviaria hanno rivelato che la causa principale del deragliamento sia stata la “rottura di un giunto in pessime condizioni”. Nel cosiddetto “punto zero”, si è verificata la rottura di un segmento di rotaia di 23 cm, che ha scatenato il tragico incidente. Secondo i pubblici ministeri, il disastro sarebbe frutto di una lunga serie di omissioni nella manutenzione e nella sicurezza, tutte riconducibili agli interessi aziendali di Rfi. La manutenzione su quella tratta sarebbe stata trascurata in quanto avrebbe comportato ritardi e indisponibilità dell’infrastruttura, contraddicendo le esigenze operative dell’azienda.
Le evidenze emerse durante il processo suggeriscono una cultura aziendale che ha prevalso sulla sicurezza dei passeggeri e sulla corretta manutenzione delle vetture. Questo ha attirato l’attenzione su eventuali filtri e procedure che avrebbero potuto evitare l’accaduto, in un contesto dove la sicurezza deve essere prioritaria ma sembra essere stata compromessa da logiche di profitto.
La difesa di Rfi: le responsabilità degli operai
L’arringa difensiva, portata avanti dall’avvocato Ennio Amodio, ha avuto come fulcro argomentativo il potere degli operai manutentori di intervenire nel caso avvertissero anomalie. Amodio ha sostenuto che i tecnici conoscevano le procedure di sicurezza e avrebbero dovuto attivarsi per garantire la corretta operatività del servizio ferroviario. Il legale ha indicato che non è solo Rfi a essere responsabile, ma anche le dinamiche lavorative che hanno portato a scostamenti dalle pratiche di sicurezza.
Questa difesa solleva interrogativi sulla responsabilità individuale degli operai e sulla loro formazione. Resta da capire se vi sia stata una coordinazione adeguata tra le varie figure professionali e se le condizioni di lavoro abbiano influito sulla loro capacità di agire in modo tempestivo e sicuro in un contesto così delicato.
Con l’ultimo intervento delle difese atteso domani, la corte di giustizia dovrà ora ponderare sulle evidenze presentate e pronunciare il verdetto che potrebbe restituire un senso di giustizia a una comunità profondamente segnata da quella tragedia. La società aspetta con ansia mentre il futuro delle responsabilità legali e la loro eventuale traduzione in sanzioni si avvicinano a un momento cruciale.