La recente docuserie di Netflix dedicata all’omicidio di Yara Gambirasio ha riacceso l’interesse sull’oscura vicenda che ha segnato profondamente l’Italia. Nonostante il grande successo, i genitori della giovane vittima, Maura Panarese e Fulvio Gambirasio, hanno espresso il loro dissenso nei confronti della serie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio“. Un progetto che ha sollevato polemiche per l’inclusione dell’intervista all’imputato Massimo Bossetti e per il presunto taglio innocentista della narrazione.
L’opposizione dei Gambirasio alla rappresentazione del caso
Nella docuserie “Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio“, i genitori di Yara Gambirasio non sono apparsi direttamente, ma le loro parole sono state incluse attraverso registrazioni. Questi materiali, raccolti in primis dagli inquirenti e dalle dichiarazioni rilasciate nel corso delle indagini, non riflettono il desiderio di partecipazione della famiglia al progetto. I Gambirasio, tramite il loro avvocato Andrea Pezzotta, hanno comunicato con fermezza la loro decisione di non prendere parte, definendo questa nuova rappresentazione “spettacoli tv sulle vicende giudiziarie“.
In un’intervista rilasciata a Il Tempo, il legale ha chiarito: “I processi li facciamo in tribunale, non su Netflix”, evidenziando la loro contrarietà a un format che considerano divulgativo ma non necessariamente informativo o obiettivo. Da quanto dichiarato dai Gambirasio, la serie non apporta novità sostanziali rispetto a quanto già conosciuto, limitandosi a riproporre le posizioni della difesa senza aggiungere elementi costruttivi o di verità al caso.
La denuncia del taglio “innocentista”
Il dissenso dei Gambirasio non si limita alla loro assenza nel format, ma si estende anche alla narrazione. Il loro avvocato Pezzotta ha affermato che la docuserie è stata “costruita per convincere gli spettatori che quel signore è innocente“, riferendosi a Massimo Bossetti, l’imputato condannato per l’omicidio della 13enne. Sottolineando la mancanza di neutralità della serie, i Gambirasio si sono detti soddisfatti di esserne rimasti estromessi, temendo che la rappresentazione potesse distorcere i fatti e le emozioni collegate alla tragica vicenda.
Questa percezione è supportata anche da critiche esterne, come quelle di Aldo Grasso del Corriere della Sera, il quale ha suggerito che il titolo alternativo della serie avrebbe potuto essere “Massimo Bossetti è innocente“. La somma di tutte queste considerazioni ha spinto i Gambirasio a mantenere una distanza critica dalla produzione, preferendo preservare la dignità della memoria di Yara e il rispetto per le procedure giudiziarie tradizionali.
Massimo Bossetti e il suo appello all’innocenza
In un contesto così carico di emozioni e tensioni, Massimo Bossetti ha scelto di presentarsi davanti alle telecamere della serie, ribadendo la sua innocenza. L’ex muratore, attualmente detenuto con l’accusa di aver assassinato Yara Gambirasio, ha affermato: “Vorrei dire al pubblico ministero che mi ha rovinato la vita,” un riferimento diretto alla pm Letizia Ruggeri, che ha guidato le indagini sul caso.
Bossetti ha espresso il suo dispiacere per la situazione legale in cui si trova, dichiarando: “Non so perché sono qui,” mettendo in luce la propria versione degli eventi e le pressioni ricevute durante l’interrogatorio. Secondo quanto da lui affermato, sarebbe stato indotto dagli inquirenti a scrivere una confessione, un foglio che poi avrebbe preferito scartare. Questi stralci di vita evidenziano le complessità emozionali e legali di una vicenda che continua a far discutere.
La serie, nonostante il suo successo commerciale, rappresenta un punto di frizione tra i Gambirasio e la narrazione proposta. L’attenzione rimane focalizzata sull’interpretazione dei fatti e sulla lotta per la verità.