Stati Uniti, chiusura del reparto anti-manipolazione informativa estera e implicazioni globali per la sicurezza dell’occidente

Stati Uniti, chiusura del reparto anti-manipolazione informativa estera e implicazioni globali per la sicurezza dell’occidente

La chiusura del R/FIMI e il ridimensionamento delle strutture statunitensi contro la manipolazione informativa estera indeboliscono la sicurezza nazionale e lasciano spazio a Russia, Cina e Iran nella guerra informativa globale.
Stati Uniti2C Chiusura Del Repa Stati Uniti2C Chiusura Del Repa
Nel 2025 il Dipartimento di Stato USA ha chiuso il R/FIMI, l’unità che monitorava la manipolazione informativa estera, segnando un ridimensionamento delle difese americane contro la disinformazione straniera e aprendo interrogativi sul futuro della sicurezza informativa occidentale. - Gaeta.it

Negli ultimi mesi del 2025, il dipartimento di stato americano ha chiuso il R/FIMI, l’unità dedicata al monitoraggio delle campagne di manipolazione informativa estera. Questo segna una svolta significativa nella gestione statunitense della guerra informativa, un settore cruciale per la sicurezza nazionale e internazionale. Lo smantellamento di questo reparto si inserisce in una serie di decisioni analoghe, adottate nell’ultimo periodo, che hanno ridimensionato varie strutture impegnate nel contrasto alla disinformazione di origine straniera. La situazione apre diverse questioni sul futuro della sicurezza informativa, sia negli Stati Uniti che nel contesto più ampio dell’occidente.

La storia e il ruolo del rifimi nel contrasto alle interferenze straniere

Il R/FIMI è nato come parte del Global Engagement Center , un’agenzia istituita nel 2016 con l’obiettivo iniziale di contrastare la propaganda jihadista e poi le ingerenze russe nelle elezioni americane del 2016. Questo reparto rappresentava uno dei pochi meccanismi attivi del governo statunitense dedicati a individuare e neutralizzare le operazioni di manipolazione e interferenza informativa provenienti dall’estero. La sua funzione era quella di monitorare le modalità con cui attori stranieri, spesso governi e servizi segreti, cercavano di influenzare l’opinione pubblica o destabilizzare le istituzioni attraverso campagne coordinate di diffusione di notizie false, manipolate o fuorvianti.

Il R/FIMI si occupava non solo di identificare i contenuti falsi, ma soprattutto di analizzare la struttura e le dinamiche di queste campagne, evidenziandone la natura artificiale e organizzata. Questa distinzione è cruciale per comprendere in che modo si possa definire un’operazione di “foreign information manipulation and interference”. Non si tratta di limitare l’opinione o il dissenso ma di riconoscere le azioni intenzionali di attori esterni per destabilizzare o alterare decisioni politiche rilevanti attraverso la disinformazione. Il R/FIMI, in questo senso, rivestiva un ruolo difensivo fondamentale nell’arsenale americano per salvaguardare l’integrità dei processi democratici.

Riduzione e chiusura di strutture anti-manipolazione: un cambiamento di rotta nelle politiche statunitensi

Dopo la sua istituzione e piena operatività, il R/FIMI e altre unità simili hanno subito una forte riduzione di risorse e margini d’azione nei mesi recenti. Diverse agenzie hanno subito tagli o sono state chiuse: a febbraio, l’FBI ha sciolto la task force che si occupava delle interferenze straniere nelle elezioni; il dipartimento della Homeland Security ha sospeso diversi funzionari della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency impegnati nel monitoraggio della disinformazione; il R/FIMI stesso è stato ufficialmente chiuso.

Questo smantellamento si inserisce in un mutamento della percezione politica e della narrazione pubblica sulla disinformazione. Una parte del dibattito politico sta infatti minimizzando la portata delle campagne di manipolazione, definendole un pretesto per limitare la libertà di parola. Sono state confusamente accostate le strategie di contrasto alla manipolazione informativa con la censura, confondendo il controllo su contenuti falsi e l’imposizione di vincoli all’espressione personale.

Il risultato è stato un ridimensionamento dei presidi istituzionali capaci di organizzare un fronte unito e articolato contro le minacce provenienti dallo spazio informativo estero. Questa scelta, tutto sommato, lascia gli Stati Uniti meno preparati a identificare e reagire a operazioni ostili di interesse politico o strategico condotte da attori come Russia, Cina e Iran, che hanno sviluppato strutture complesse e ingenti investimenti nella guerra informativa.

Il divario tra investimenti stranieri e risorse dedicate negli stati uniti

Il confronto tra quanto spendevano le potenze concorrenti in materia di propaganda e difesa informativa con le risorse statunitensi è evidente e sconfortante. Il Global Engagement Center operava con circa 61 milioni di dollari di budget, mentre la Cina destinava al settore più di dieci miliardi d’anno. Nel 2025 la Russia ha complessivamente investito qualcosa come 1,6 miliardi di dollari solo nelle proprie attività mediatiche e di influenza.

Questi numeri mostrano senza equivoci la sproporzione tra la capacità americana di attenzione e reazione e quella delle potenze rivali. Il ridimensionamento del R/FIMI e di altri centri mette in discussione la possibilità di mantenere un livello di controllo efficace sulla diffusione di informazioni manipolate e intenzionalmente veicolate per influenzare l’opinione pubblica o indebolire istituzioni. Lo smantellamento degli strumenti di contrasto non rappresenta una difesa della libertà civile ma ne riduce la tenuta, aprendo spazi maggiori per attori statali che hanno nel controllo e nell’uso strumentale delle informazioni un pilastro strategico.

Implicazioni geopolitiche e il ruolo della guerra informativa nei conflitti contemporanei

Dalla dimensione nazionale americana, il ritiro dalle attività di monitoraggio e contrasto alle campagne di manipolazione informativa ha risvolti anche oltre i confini. Le cosiddette operazioni FIMI ormai non sono un fenomeno marginale o secondario; sono una parte centrale delle strategie di guerra ibrida adottate da molte potenze. La guerra informativa agisce come un moltiplicatore di forze che può indebolire, dividere società, influenzare decisioni politiche interne e rafforzare alleanze di convenienza nelle aree di crisi.

Non si tratta solo di Russia o Cina: anche attori regionali, con minori risorse, guardano con interesse a questi metodi per ottenere vantaggi sui propri rivali. L’assenza di un sistema coordinato occidentale crea vuoti di potere in aree chiave come Africa, Balcani, Asia centrale e sud-est asiatico. Proprio in queste regioni si manifestano gli effetti diretti del disimpegno americano: governi ostili all’occidente emergono favoriti da campagne manipolative e strutture straniere più agguerrite.

La guerra dell’informazione è un campo di scontro dove rischiano di venire messe in discussione le alleanze strategiche e la stabilità di intere aree. Washington, lasciando campo libero, perde capacità di deterrenza non solo a danno suo, ma anche dell’alleanza atlantica e dell’Europa intera.

L’impatto sul sostegno internazionale e la presenza occidentale in aree sensibili

Accanto alle strutture anti-manipolazione, negli ultimi mesi sono stati tagliati anche finanziamenti e progetti che sostenevano società civile e media indipendenti in zone con sfide complesse. La chiusura di programmi USAID attivi in Africa ha indebolito la capacità di contrastare narrazioni manipolate e rafforzare fonti di informazione libere.

In Niger, per esempio, una campagna mediatica russa ha contribuito alla formazione di un governo meno favorevole agli interessi occidentali, con la conseguente espulsione delle forze americane presenti sulla base di Agadez, fondamentale nelle operazioni antiterrorismo. Questa vicenda mette in luce come la disinformazione abbia effetti concreti, ben oltre l’ambito digitale o comunicativo, intaccando assetti politici e militari.

Inoltre, tagli e sospensioni hanno riguardato anche emittenti come Voice of America e Radio Free Europe, fondamentali per veicolare informazioni in contesti ostili o chiusi, oltre a progetti di ricerca come Minerva, legati al Pentagono. Il venir meno di queste strutture riduce la conoscenza e la comprensione di dinamiche culturali e geostrategiche, invischiando gli Stati Uniti in un arretramento complessivo nella sorveglianza e nella capacità di analisi.

Conseguenze per l’occidente e le strategie di collaborazione futura

La chiusura del R/FIMI e il disimpegno degli Stati Uniti dal contrasto attivo alla manipolazione informativa straniera apre interrogativi sul ruolo che l’occidente potrà svolgere su questo fronte. L’Europa e in particolare paesi come l’Italia, che in Africa cercano di rilanciare la propria influenza politica con strumenti come il Piano Mattei, si trovano esposti a concorrenti agguerriti anche nel campo della guerra informativa.

In aree come i Balcani, dove l’Italia ha lungo operato da stabilizzatore e facilitatore diplomatico, la mancanza di un sostegno americano strutturato lascia margini a potenze e attori rivali. L’Unione europea è chiamata a costruire una risposta comune e strutturata per non lasciare il settore informativo alle sole logiche di potenza straniere.

Non esiste alternativa a mantenere una presenza organizzata e coordinata nel monitoraggio e nel contrasto alle operazioni di disinformazione, a tutela non solo delle democrazie, ma anche della dignità e dell’efficacia della diplomazia occidentale nel mondo. La gestione di questa sfida rimane un terreno decisivo della competizione globale anche per gli anni a venire.

Change privacy settings
×