Una ricerca recente ha messo in luce che circa il 25% dei pazienti affetti da disturbi della coscienza, come il coma o i vari stati di minima coscienza, possiedono funzioni cognitive che possono essere attivate. Questo risultato è stato ottenuto tramite analisi avanzate delle immagini cerebrali, suggerendo che una parte significativa di queste persone può rispondere a istruzioni cognitive anche se non mostrano reazioni fisiche. I dati provengono da una vasta raccolta di informazioni su pazienti con gravi lesioni cerebrali, stimolando un’importante riflessione sull’approccio terapeutico e comunicativo nei confronti di tali pazienti.
I dati dei pazienti con gravi lesioni cerebrali
La ricerca ha esaminato un ampio campione di pazienti che hanno subito gravi lesioni cerebrali fra il 2006 e il 2023. L’indagine ha coinvolto diverse strutture sanitarie distribuite in sei località internazionali, comprese alcune in Europa. In totale, sono stati analizzati i dati di 353 pazienti con condizioni come il coma, ictus, o danni cerebrali causati da mancanza di ossigeno a seguito di arresti cardiaci.
Un concetto centrale emerso dallo studio è quello della “dissociazione motoria cognitiva”, che indica una situazione in cui nonostante l’incapacità di rispondere fisicamente a stimoli esterni, i pazienti possono dimostrare attività cerebrale nelle aree normalmente coinvolte nel movimento. Questo fenomeno è di particolare interesse per i clinici, in quanto rileva che il funzionamento cognitivo non sempre si manifesta attraverso comportamenti osservabili.
Nel complesso, i risultati evidenziano la necessità di valutazioni più approfondite nei pazienti non responsivi, indicando che una parte di loro può presentare potenziali capacità cognitive normalmente non riconosciute. Tale scoperta potrebbe influenzare profondamente il modo in cui le cure vengono fornite a questi individui.
Gli esami con tecniche avanzate
Le tecniche avanzate utilizzate per il monitoraggio dell’attività cerebrale hanno giocato un ruolo cruciale nello studio. Secondo Yelena Bodien, principale autrice della ricerca presso l’Harvard Medical School e l’istituto di ricerca del Massachusetts General Hospital, molti pazienti affetti da gravi lesioni cerebrali non sembrano interagire con il mondo esterno. Tuttavia, i test condotti con strumenti come la risonanza magnetica funzionale e l’elettroencefalografia hanno evidenziato che possono rivelare modelli di attività cerebrale che suggeriscono funzioni cognitive attive.
La fMRI è utilizzata per osservare l’attività cerebrale tramite il monitoraggio del flusso sanguigno e dei livelli di ossigeno, mentre l’EEG fornisce misurazioni invece attraverso una cuffia dotata di elettrodi, capaci di captare l’attività elettrica delle onde cerebrali. Questi strumenti hanno permesso di ottenere una maggiore comprensione delle funzioni cognitive dei pazienti, anche in assenza di interazioni fisiche evidenti.
I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati sul New England Journal of Medicine, evidenziando l’importanza di queste scoperte nel campo della neurologia e della medicina riabilitativa.
Come si è svolto lo studio
Nel corso dello studio, i partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi, il primo composto da 241 pazienti non in grado di rispondere ai test e il secondo da 112 pazienti in grado di interagire. La scoperta principale è stata che il 25% dei soggetti del primo gruppo ha dimostrato la capacità di eseguire compiti cognitivi, mostrando attività cerebrale simile a quella di persone sane mentre seguivano istruzioni specifiche.
L’analisi ha rivelato che, fra i pazienti che rispondevano, il 38% ha mostrato attività cerebrale coerente durante le scansioni. Il processo di valutazione dello stato di coscienza è stato condotto attraverso l’applicazione di tecniche di imaging cerebrale, monitorando reazioni a comandi come “immaginare di aprire e chiudere la mano”. Gli scienziati sono stati in grado di rilevare attività cerebrale che seguiva queste istruzioni, anche in assenza di qualsiasi risposta da parte del paziente, per un intervallo che variava dai 15 ai 30 secondi.
Le istruzioni date ai pazienti
Durante le sessioni di scansione, i pazienti ricevevano una serie di istruzioni progettate per attivare la loro capacità cognitiva. Queste istruzioni comprendevano comandi come “immagina di aprire e chiudere la mano”, a cui seguiva un invito a “smettere di immaginare” dopo un breve periodo. Questa metodologia ha permesso ai ricercatori di monitorare l’attività cerebrale che si attivava in risposta a tali suggerimenti, dimostrando che, nonostante la mancanza di movimenti fisici, alcuni pazienti erano in grado di attivare le aree cognitive del loro cervello.
Nicholas Schiff, autore senior dello studio presso il Weill Cornell Medical College, ha sottolineato come la dissociazione tra le capacità cognitive e la mancanza di risposta comportamentale non sia un’anomalia rara, suggerendo che ciò richiede una nuova considerazione etica e medica nel trattamento di questi pazienti. L’affermazione invita a riflettere sull’importanza di innalzare le pratiche cliniche e di sviluppare strategie di comunicazione più efficaci per i soggetti affetti da tali condizioni.
Ultimo aggiornamento il 17 Agosto 2024 da Sara Gatti