Le violenze di genere rimangono un tema attuale e allarmante. Uno studio approfondito ha rivelato le modalità predominanti di aggressione nel femminicidio, evidenziando un uso prevalente di strumenti come il coltello e l’azione diretta delle mani. Le conclusioni emergono da una ricerca condotta su 1.170 casi, con l’intento di rafforzare le strategie di prevenzione e comprendere meglio la dinamica degli atti violenti contro le donne.
Le modalità di aggressione nel femminicidio
Secondo i dati forniti da Rossana Cecchi, ordinaria di medicina legale presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, il coltello e le mani sono le armi più comunemente utilizzate nei casi di femminicidio. In molti casi, l’uso delle mani nude porta all’asfissia. Questo fenomeno, descritto dalla studiosa durante una recente audizione in Commissione parlamentare, sottolinea la dimensione ravvicinata e l’intensità emotiva dell’aggressione. A differenza degli omicidi non associati a femminicidio, dove spesso si registrano armi da fuoco, nei femminicidi il contatto fisico diventa un modo per esprimere un dominio violento. I dati si basano sulle dichiarazioni e le ricostruzioni fornite dagli istituti di medicina legale coinvolti nella ricerca.
Un’analisi delle statistiche ha portato alla classificazione di 433 casi come femminicidi, 343 come omicidi di donne, mentre 394 casi non sono stati catalogati poiché privi di sufficienti informazioni sul movente. Questo dimostra un chiaro bisogno di migliorare la raccolta e l’interpretazione dei dati riguardanti le violenze di genere in Italia.
Le lesioni e le motivazioni dietro gli attacchi
Un aspetto interessante dello studio è l’analisi delle zone anatomiche colpite. Rossana Cecchi ha evidenziato come nelle aggressioni femminili le ferite interessino prevalentemente il viso, il collo, il seno e la bocca. Queste aree sono simboliche e rappresentano la volontà di colpire la femminilità, l’identità e la libertà della donna. Al contrario, gli uomini subiscono ferite principalmente a spalle e torace. Questo aspetto del “overkilling”, ovvero l’inflizione di colpi superiori a quelli necessari per uccidere, è predominante negli omicidi di donna, suggerendo una partecipazione emotiva intensa da parte dell’aggressore.
Cecchi ha sottolineato che colpire aree delicate come il seno o il viso non è solo un atto violento, ma anche un messaggio di possesso e disprezzo per la persona. L’intento di ferire la donna in queste zone è una manifestazione di una violenza che va oltre il semplice atto di uccidere, riflettendo un pensiero patologico e di controllo.
Prevenire la violenza: l’importanza della diagnosi precoce
Il progetto di ricerca non si limita a descrivere i dati, ma mira anche a sviluppare una prognosi medico-legale utile alla prevenzione delle violenze. Distinguere tra femminicidi e omicidi di donne consente di identificare tipologie di lesioni e circostanze specifiche che potrebbero rivelarsi utili nel riconoscere soggetti vittime di violenza domestica. Queste informazioni sono cruciali per il monitoraggio e l’intervento precoce.
Cecchi ha citato un caso particolare riguardante una giovane ragazza che, nonostante fosse stata aggredita più volte dal suo compagno, continuava a ignorare la violenza, ritenendo che lui rimanesse accanto a lei. Tuttavia, gli esperti avvertono che tali situazioni, segnate da violenza fisica sul volto e sul collo, comportano un rischio elevato di evoluzione in atti ancora più gravi, compresi gli omicidi. La narrazione di storie come questa sottolinea l’urgenza di un intervento tempestivo in contesti di violenza domestica.
Questo studio, sebbene intensamente allarmante, offre spunti vitali per promuovere la consapevolezza e migliorare le misure di prevenzione in un contesto in cui la violenza di genere rimane un problema significativo. La comunità e le istituzioni devono rimanere vigili e attive nella lotta contro il femminicidio.