La drammatica vicenda di Awa Sangare e suo fratello Moussa ha scosso la comunità di Terno d’Isola. Awa, studentessa di ingegneria gestionale, racconta la crescente paura vissuta tra le mura della loro casa, culminata nel tragico omicidio di Sharon Verzeni, avvenuto tra il 29 e il 30 luglio. La sua testimonianza svela un quadro complesso di violenza, isolamento e un sistema sanitario inadeguato a fronteggiare la situazione di crisi.
La vita con la paura
La quotidianità segnata dalla violenza
Awa e sua madre hanno trascorso un lungo periodo in uno stato di tensione e paura, a causa del comportamento sempre più instabile di Moussa. Prima del 20 aprile, non c’erano stati episodi di violenza fisica, ma ciò non significava che l’ambiente domestico fosse sereno. “Giorni interi passavano mentre sentivamo il fratello urlare da solo, delirare,” spiega Awa. Si trattava di un segnale preoccupante del deterioramento della sua salute mentale, col quale nessuno dei membri della famiglia riusciva a confrontarsi efficacemente.
Il fatidico giorno in cui Moussa minacciò Awa con un coltello evidenziò problematiche più profonde. Nonostante le difficoltà della madre, colpita da un ictus e incapace di comunicare verbalmente, cercava costantemente di proteggere la figlia. L’episodio fu l’apice di una serie di comportamenti imprevedibili che misero in profonda crisi la loro stabilità. “Ho visto il sorriso sul volto di Moussa mentre se ne andava, ridendo,” ricorda Awa, ma l’ombra della preoccupazione rimaneva.
Le segnalazioni senza esito
Azioni legali e mancanza di supporto
“Abbiamo fatto tutte le dovute segnalazioni, ma per mio fratello nessuno è intervenuto,” afferma Awa. La loro famiglia affrontò la situazione con determinazione, formalizzando denunce contro Moussa per maltrattamenti. Tuttavia, il sistema sembrava non rispondere a una situazione così critica. Le segnalazioni furono accompagnate da una serie di visite presso centri di supporto, senza risultati tangibili. La mancanza di un intervento proattivo da parte delle autorità è un tema che ricorre frequentemente nelle testimonianze delle vittime di violenza domestica.
Dopo un ennesimo episodio di violenza, dal 9 maggio Moussa lasciò l’abitazione familiare, ma la situazione non migliorò. Le due donne vivevano in costante ansia, con Awa che cercava di mantenere una vita normale mentre Moussa si isolava ulteriormente. “Era come se la casa fosse divisa in due mondi,” racconta Awa. Le due donne, pur cercando supporto nel sistema, si resero conto di essere lasciate sole nel gestire la situazione.
Il cambiamento di Moussa
La dipendenza e il declino
Awa evidenzia come la vita di Moussa sia cambiata drasticamente dopo un viaggio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna nel 2019, dove sviluppò una dipendenza alle droghe sintetiche. “Non era più lui,” continua Awa, sottolineando come questa metamorfosi abbia avuto un impatto devastante sulle relazioni familiari. L’uso di sostanze stupefacenti, un tema sempre più presente nelle cronache, ha posto ancora più pressione su una famiglia già vulnerabile.
Nonostante i continui sforzi per liberare Moussa dalla sua dipendenza, egli rifiutò ogni forma di aiuto. “Abbiamo contattato esperti e tentato di riportarlo sulla retta via, ma ogni tentativo risultava vano,” lamenta Awa. Il sistema di supporto adottato si rivelava inefficace: “Ci davano volantini per i centri antiviolenza, mentre nessuna azione concreta veniva presa per affrontare la sua dipendenza.”
Una tragedia annunciata
Questo dramma, infine, ha avuto un esito tragico. Il 29 luglio, Moussa ha commesso un omicidio, uccidendo Sharon Verzeni. La notizia ha spiazzato Awa e sua madre. “Non avremmo mai immaginato che le cose potessero andare così lontano,” afferma Awa, mentre cerca di elaborare la perdita e il dolore. Il suo racconto, purtroppo, rappresenta una realità che molte famiglie affrontano senza il supporto necessario.