Trieste: L’acquedotto teresiano riaffiora tra rinnovamento e avventura sotterranea

Il recupero dell’acquedotto teresiano di Trieste, avviato da volontari speleologi, riporta alla luce un patrimonio storico e naturale unico, rendendo accessibili gallerie sotterranee dimenticate.
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L’acquedotto teresiano di Trieste, costruito nel corso del XVIII secolo, sta vivendo una nuova stagione grazie all’impegno di una squadra di volontari speleologi. Il rinomato impianto, un tempo fondamentale per l’approvvigionamento di acqua potabile della città, ha visto l’apertura delle sue gallerie, portando alla luce un intricato labirinto sotterraneo e una storia affascinante legata al territorio. L’iniziativa ha destato l’attenzione degli appassionati di speleologia e degli amanti della cultura locale, che possono ora scoprire un pezzo di storia dimenticata, immerso in un’atmosfera che ricorda un film di avventura.

La storia dell’acquedotto teresiano

Il fabbisogno di acqua potabile per Trieste crebbe notevolmente con l’aumento della popolazione, richiedendo un intervento strategico. Nel 18° secolo, l’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo incaricò ingegneri e geologi di trovare ogni sorgente d’acqua disponibile e di canalizzarla verso il centro della città. Gran parte delle operazioni si concentrò sulle risorse provenienti dal Carso, un’area carsica che si estende tra Italia e Slovenia, famosa per le sue sorgenti naturali.

I tecnici dell’epoca, con un mix di ingegno e determinazione, svilupparono un sistema di gallerie, sondaggi e trivellazioni che ha consentito di costruire l’acquedotto. La struttura, una delle più innovative di quel tempo, ha servito Trieste per decenni, ma è stata abbandonata in seguito a cambiamenti nei sistemi di approvvigionamento idrico. Oggi, tuttavia, questa storica infrastruttura ha intrapreso una nuova vita, segnata dall’entusiasmo di un gruppo di speleologi appassionati.

Il lavoro dei volontari speleologi

Una squadra di volontari della Società Adriatica di Speleologia ha intrapreso un’opera di recupero e valorizzazione dell’acquedotto, riunendo le gallerie tra il centro città e il Carso. Grazie a sforzi instancabili, sono stati disostruiti oltre 400 metri della galleria chiamata Tschebull, che deve il suo nome a uno dei progettisti originali. Le operazioni, in corso dal 2018, hanno richiesto un notevole impegno fisico e mentale, con gli speleologi che hanno affrontato ambienti insidiosi e difficilmente accessibili, a volte costretti a muoversi in spazi angusti pieni di acqua e fango.

Nonostante le difficoltà, il lavoro di squadra ha permesso di mettere in sicurezza alcune aree della galleria che erano state chiuse a causa di frane. Questa riqualificazione ha inoltre posto delle basi solide per un futuro accesso pubblico all’impianto. Si prevede che, una volta completata la risistemazione delle aree, si possa eventualmente rendere l’impianto visitabile, aprendo le porte a un viaggio nel passato di Trieste.

Un accesso inquietante e affascinante

Attualmente, per accedere all’acquedotto, gli avventurieri devono percorrere un totale di nove metri attraverso un tombino situato nel quartiere di San Giovanni. La discesa avviene su una scala a pioli, per poi continuare su una scala in pietra, raggiungendo un pozzo in cui scorre acqua pura proveniente dal Carso, ancora inutilizzata. Questa acqua, ora dimenticata, si perde nel sistema di fogne della città, un paradosso di bellezza e trascuratezza.

Il cammino attraverso le gallerie offre un’esperienza unica: nel tratto più antico ci si trova di fronte a una struttura con archi di mattoni ben conservati, mentre in altre aree il flysch mostra la sua roccia nuda, a tratti bagnata dall’acqua che filtra dall’alto. In queste cavità si possono trovare anche concrezioni minerali che, per certi versi, appaiono come forme di vita sconosciute. L’atmosfera è quella di un luogo misterioso, dove ci si può facilmente sentire abbracciati da una dimensione onirica.

Un ecosistema sotterraneo unico

Nonostante l’oscurità e la solitudine del sottosuolo, la vita persiste in questo ecosistema unico. Fauna cieca e piccoli gamberetti popolano queste gallerie, testimoniando l’interazione tra la natura e l’ambiente artificiale creato dall’uomo. L’itinerario sotterraneo porta anche verso il Carso, suggerendo che ci possano essere ulteriori passaggi verso grotte esplorabili nelle vicinanze.

Trieste, in virtù della sua posizione privilegiata tra Italia e Slovenia, è un vero paradiso per gli speleologi. L’acquedotto teresiano, dunque, non è solo un’importante risorsa storica, ma anche un laboratorio sotterraneo per lo studio degli aspetti geologici e idrologici del territorio. Marco Restaino, presidente della SAS, evidenzia come “in quell’acqua che ancora scorre sotto i nostri piedi, è scritta la storia della città”, un’affermazione che racchiude la ricchezza del patrimonio culturale e naturale del capoluogo giuliano.

Ultimo aggiornamento il 27 Ottobre 2024 da Laura Rossi

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