Gli Stati Uniti lanciano un progetto ambizioso per l’estrazione di minerali preziosi dai fondali oceanici. Questo intervento, firmato dal presidente Donald Trump giovedì scorso, punta a recuperare elementi fondamentali per la produzione di batterie e tecnologie energetiche come litio, scandio e cobalto. Il piano si inserisce in una fase critica per la transizione energetica globale, ma solleva numerose preoccupazioni riguardo ai danni ambientali, soprattutto in relazione alla tutela degli habitat marini più profondi.
Programma statunitense per l’estrazione di minerali dai fondali marini
L’ordine esecutivo firmato da Trump ha dato il via a un progetto che prevede l’estrazione di minerali essenziali dai fondali oceanici, principalmente in aree che ricchissime di risorse. Questi minerali sono indispensabili per la costruzione di batterie agli ioni di litio, motori elettrici e altre infrastrutture legate all’energia pulita. Il governo americano ha sottolineato la necessità di garantire l’approvvigionamento di queste risorse, viste le tensioni geopolitiche e con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dalle importazioni.
Estrazione in acque internazionali
L’estrazione avverrà anche in zone che si trovano al di fuori delle acque territoriali degli Stati Uniti. Questo significa operare su fondali internazionali, dove applicare norme e regole diventa complicato, dato che la gestione di tali aree richiede accordi multilaterali. Il programma rappresenta un passo avanti significativo nelle strategie di estrazione marine, ma non senza mettere a rischio ecosistemi ancora poco conosciuti e in alcuni casi fragili.
Gli estrattori intendono utilizzare tecnologie avanzate per scavare profondamente nei letti marini, nel tentativo di recuperare nichel, rame, manganese oltre ai già citati litio, scandio e cobalto. Questi metalli hanno un ruolo chiave nelle industrie della mobilità elettrica e dell’elettronica, ma la modalità di estrazione provoca forti preoccupazioni tra esperti e ambientalisti.
Controversie e dubbi sull’impatto ambientale dell’estrazione
L’estrazione dei minerali dai fondali marini resta un tema molto controverso. I principali dubbi riguardano l’impatto irreversibile che queste attività possono avere sugli habitat sottomarini. Le tecniche impiegate potrebbero distruggere estese porzioni di fondali, compromettendo ecosistemi finora poco esplorati e probabilmente vitali per diverse specie marine.
La comunità scientifica ha più volte segnalato come il disturbo dei fondali provochi la dispersione di sedimenti tossici e la perdita di biodiversità. Non esistono ancora regole precise e condivise a livello internazionale che limitino tali attività, soprattutto nella fascia di acque internazionali, mettendo a rischio la salute degli oceani.
Gli ambientalisti sottolineano inoltre come queste pratiche possano innescare effetti a catena sulle catene alimentari marine e sulle popolazioni di specie a rischio. C’è il timore che, aprendo la strada a queste attività, si possa minare un equilibrio fragile. La mancanza di studi a lungo termine e di dati certi alimenta le critiche verso un modello estrattivo definito troppo invasivo.
Effetti sulla biodiversità marina
Le discussioni sull’impatto ambientale includono anche analisi sulle possibili alterazioni delle catene trofiche e sulla diminuzione di specie chiave, che potrebbero causare ripercussioni estese all’intero ecosistema marino.
Violazioni della giurisdizione internazionale e ruolo dell’isa
L’ordine di Trump ha suscitato anche reazioni di tipo giuridico per la scelta di autorizzare operazioni minerarie nelle acque internazionali. Queste aree, secondo le convenzioni internazionali, sono sotto la supervisione dell’Autorità internazionale per i fondali marini , un organismo delle Nazioni Unite che ha il compito di regolare le attività estrattive al di fuori delle zone economiche esclusive degli stati.
Gli Stati Uniti, pur avendo firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare , non l’hanno mai ratificata. Questo comporta un conflitto rispetto al rispetto delle norme sullo sfruttamento delle risorse oceaniche. L’ISA punta a tutelare gli interessi e proteggere l’ambiente marino, autorizzando estrazioni solo in condizioni che non compromettano i fondali.
Caso norvegese
Approfondimenti sul caso della Norvegia mostrano invece un diverso approccio: nel 2024 Oslo è diventata la prima nazione a permettere l’attività mineraria commerciale sui fondali. Quel progetto ha suscitato un dibattito simile a livello internazionale, evidenziando rischi ed opportunità associate allo sfruttamento delle riserve marine.
Implicazioni future per la transizione energetica e l’ecosistema marino
Il progetto statunitense si colloca in un momento di grande richiesta di materiali strategici per la produzione di tecnologie pulite e veicoli elettrici. L’aumento dei consumi globali spinge a cercare nuove fonti e i fondali marini rappresentano un’area di interesse privileggiato, specie quando riserve terrestri appaiono limitate o politicamente difficili da sviluppare.
La sfida resta bilanciare l’estrazione sostenibile con la salvaguardia dell’ecosistema marino, fragile e non del tutto esplorato. Le attività in corso nei fondali richiederanno osservazione costante e l’elaborazione di nuovi protocolli internazionali che impongano limiti precisi.
Lo sviluppo di tecnologie meno invasive e di sistemi di monitoraggio potrebbe ridurre l’impatto ambientale. Nel contempo però si dovrà fare i conti con i diritti sovrani degli stati e con la necessità di coordinare le azioni nell’ambito delle acque internazionali per evitare area di sfruttamento senza regole.
Il tema rimane al centro di un confronto globale tra interessi economici e ambientalisti, con sviluppi che nei prossimi mesi si annunciano decisivi per il futuro della gestione degli oceani e del loro patrimonio minerario.