Nell’odierno viaggio di ritorno a bordo dell’Air Force One da Mar-a-Lago, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato con chiarezza la sua posizione sui dazi imposti su acciaio e alluminio, escludendo categoricamente qualsiasi possibilità di riduzione. Queste dichiarazioni arrivano in un periodo cruciale in cui le tensioni commerciali continuano a crescere, coinvolgendo non solo il Canada e i partner europei, ma anche la Cina. In quest’articolo, esploreremo le implicazioni delle recenti dichiarazioni di Trump e gli sviluppi della guerra commerciale.
Le nuove tariffe statunitensi sugli import
Mercoledì 12 marzo, è stata istituita ufficialmente una tassa del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio provenienti da tutti i Paesi. Trump ha sottolineato che il 2 aprile rappresenterà un “giorno di liberazione” per l’economia americana, con l’implementazione di nuove imposte reciproche per contrastare quelle che Washington considera pratiche commerciali sleali. Secondo il Presidente, l’avvio di queste tariffe porterà un afflusso significativo di capitali. Tuttavia, in un primo momento, aveva anche considerato l’ipotesi di raddoppiare al 50% le tasse sui metalli canadesi, per poi tornare sui suoi passi, in seguito alla decisione del Canada di sospendere una nuova imposta sull’elettricità destinata a Washington e l’avvio di negoziati commerciali.
Le reazioni internazionali ai nuovi dazi
L’iniziativa degli Stati Uniti non ha tardato a suscitare reazioni da parte di diverse nazioni. L’Unione Europea, a sua volta, ha annunciato l’introduzione di contro-tariffe su beni americani per un totale di 28 miliardi di dollari, ampliando così lo scontro commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. La risposta di Trump non si è fatta attendere; ha minacciato ritorsioni mirate contro il blocco europeo, avanzando l’idea di un’imposta del 200% su vini, champagne e alcolici, nel caso in cui Bruxelles non rimuovesse la tariffa sul whisky statunitense.
Anche la Cina ha risposto attivamente all’aumento delle tariffe americane, applicando imposte fino al 15% su vari prodotti agricoli americani, inclusa la carne. A partire dal 10 marzo, Pechino ha avviato queste misure in risposta a incrementi tariffari ufficializzati dall’amministrazione Trump.
Le ripercussioni sul mercato e sull’economia globale
Le manovre commerciali di Trump hanno generato inquietudine nei mercati azionari, creando fluttuazioni significative tra guadagni e perdite. Gli investitori si mostrano cauti, considerando l’impatto che i dazi potrebbero avere sull’economia globale rispetto ai dati più ottimistici riguardanti l’inflazione di febbraio. Gli analisti avvertono che tali politiche commerciali potrebbero portare a un incremento dell’inflazione e a un possibile rallentamento della crescita economica.
Un aggiornamento di Goldman Sachs ha previsto un abbassamento delle stime di crescita economica per gli Stati Uniti nel 2025, riducendo le previsioni dal 2,4% all’1,7%. La chief global strategist di Principal Asset Management, Seema Shah, ha evidenziato che i dati sull’inflazione potrebbero anticipare un periodo di instabilità economica. Le preoccupazioni sulla direzione delle politiche commerciali di Trump rimangono altissime, con molti che osservano da vicino le prossime mosse del Presidente.
Le mosse future e la strategia commerciale
Il 2 aprile si prepara a diventare una data cruciale nel panorama commerciale statunitense, poiché Trump prevede di introdurre nuove tariffe su auto importate e su altre nazioni, accusate di discriminazione nei confronti degli Stati Uniti. Molti governi, tra cui Giappone, Australia e Gran Bretagna, scelgono di adottare una linea attendista, temendo impatti negativi sulle relazioni internazionali e sulle proprie economie. Mentre si avvicina la scadenza, i preparativi per un possibile nuovo scossone tariffario aumentano, con l’attenzione a mantenere equilibrate le relazioni con i principali partner commerciali.
La strategia di Trump in materia di dazi continua a sollevare interrogativi e preoccupazioni non soltanto all’interno degli Stati Uniti, ma anche all’estero, facendo temere future ripercussioni su una già fragile economia globale.