Udine, uccisa da ex marito ai domiciliari: il dramma di una famiglia divisa dalla violenza domestica

Udine, uccisa da ex marito ai domiciliari: il dramma di una famiglia divisa dalla violenza domestica

A Udine, l’omicidio di Samia Bent Rejab Kedim da parte dell’ex marito evidenzia le lacune nelle misure di protezione contro la violenza domestica e il bisogno urgente di sostegno alle vittime.
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Un caso di violenza domestica a Udine ha portato all’omicidio di Samia Bent Rejab Kedim da parte dell’ex marito, evidenziando le lacune nelle misure di protezione e la difficoltà delle vittime nel trovare aiuto efficace. - Gaeta.it

Un caso di violenza domestica ha scosso Udine pochi giorni fa, quando Samia Bent Rejab Kedim, 46 anni, è stata uccisa dall’ex marito Mohamed Naceur Saadi, 59 anni. La tragedia si è consumata in un appartamento della città giovedì scorso, lasciando la famiglia in uno stato di shock e domande senza risposta. Il sospettato, già sottoposto agli arresti domiciliari a Monfalcone, è poi morto in un incidente stradale. A raccontare la vicenda, con parole cariche di dolore, è Miriam Saadi, figlia della vittima.

la testimonianza della figlia: le violenze mai denunciate fino in fondo

Miriam Saadi, 21 anni, ha parlato con il Messaggero Veneto raccontando un quadro di violenza reiterata che la madre ha subito negli anni. La donna era stata più volte minacciata di morte e maltrattata dall’ex marito, un incubo che ha segnato profondamente tutta la famiglia. Miriam sottolinea come la madre fosse spesso terrorizzata dalla presenza di quell’uomo. Nonostante le denunce, il percorso per ottenere protezione era rimasto incompleto. La paura di rovinare la famiglia ha indotto Samia a ritirare più volte le accuse.

difficoltà delle vittime a trovare sostegno

Questa testimonianza mette in evidenza la difficoltà delle vittime a trovare sostegno pieno e protezione efficace. Miriam esprime il rammarico per una situazione dolorosa che avrebbe potuto essere evitata se si fosse agito con maggiore rigore. Il rapporto con il padre era pesante e complicato, fino al punto che lui aveva ottenuto, pur essendo ai domiciliari, permessi settimanali per uscire, che ha usato per raggiungere Udine da Monfalcone.

la dinamica del delitto e i dubbi sulle misure restrittive

L’episodio che ha portato alla morte di Samia Bent Rejab Kedim vede il marito, sottoposto a controllo elettronico, arrivare sul luogo in cui lei abitava con i figli. Il fratello minorenne della vittima, presente in casa, ha lanciato l’allarme in seguito alle urla e ai rumori. Il ragazzo ha tentato di aprire la porta per intervenire ma senza successo, trovandosi impotente di fronte alla tragedia.

permessi e movimenti sotto controllo

Il fatto che l’uomo potesse lasciare l’appartamento per due giorni ogni settimana è al centro di un accesso interrogativo da parte dei familiari, in particolare della figlia maggiore. La richiesta è chiara: non sarebbe stato giusto permettere a una persona pericolosa di muoversi liberamente quando la vittima era sotto minaccia. La custodia cautelare e il braccialetto elettronico hanno mostrato limiti in questa circostanza drammatica, portando a un riflesso sulle misure di protezione istituzionali.

L’uomo era stato chiamato ad affrontare la prima udienza della separazione giudiziale solo tre giorni prima dell’omicidio. Un momento che, secondo i familiari, avrebbe aggravato ulteriormente la sua resistenza a lasciare libera la coniuge.

un sistema di protezione sotto accusa: le denunce scartate e il bisogno di tutela

Il caso solleva interrogativi su come le denunce per violenza vengano gestite e sull’efficacia delle tutele a disposizione delle vittime. Samia, nonostante le ripetute richieste di aiuto nelle sedi giudiziarie, aveva ritirato più volte le denunce per timore delle conseguenze che questo avrebbe potuto avere sulla famiglia e sulla propria incolumità.

la richiesta di aiuto della figlia

Miriam Saadi sottolinea la necessità che chi denuncia venga aiutato in modo concreto sin dalla prima avvisaglia di pericolo. Non basta che una persona finisca in carcere per ottenere un risultato, se poi le misure restrittive non impediscono di tornare a minacciare la vittima. La ragazza esprime la sua frustrazione per una protezione che non c’è stata, con il risultato di un finale drammatico che poteva essere evitato.

Sullo sfondo, rimangono tutte le domande sulla gestione dei casi di violenza domestica e sulla capacità del sistema di garantire sicurezza alle donne. Le autorità locali hanno aperto indagini approfondite per capire dove si siano verificati eventuali errori e omissioni.

la vita della famiglia dopo la tragedia: l’allarme lanciato dal figlio minorenne

La famiglia di Samia è ora stravolta dalla perdita. Con Miriam, la sorella Sabrina e il fratello più piccolo hanno dovuto fare i conti con un trauma difficile da elaborare. Il ragazzo minorenne, che ha dato l’allarme, ha vissuto in prima persona la scena dell’omicidio, rimanendo impossibilitato a intervenire.

il peso del trauma e la richiesta di giustizia

La morte violenta della madre e il contesto familiare teso evidenziano quanto sia fragile il delicato equilibrio delle relazioni in cui si nascondono abusi e violenze. La famiglia chiede giustizia e vuole risposte chiare su cosa sia andato storto nel caso di Samia, per trasformare questo dolore in una richiesta di responsabilità.

Questo evento ha riacceso l’attenzione su un fenomeno che continua a toccare molte famiglie italiane: la violenza domestica resta una piaga aperta e le sue vittime hanno spesso bisogno di una rete reale e protettiva che fino ad oggi, per alcuni, è mancata.

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