Un’iniziativa controversa presso l’università di Roma 3: laboratorio per bambini trans e gender non conforming

Il progetto di ricerca dell’Università di Roma 3 su “Bambin* trans e gender creative” solleva polemiche riguardo al linguaggio inclusivo, alla medicalizzazione dell’infanzia e all’importanza di un approccio empatico nella gestione delle identità di genere.
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Un'iniziativa controversa presso l'università di Roma 3: laboratorio per bambini trans e gender non conforming - Gaeta.it

Nell’ambito delle discussioni accese sulle questioni di identità di genere e inclusione, emerge un progetto di ricerca presso l’università di Roma 3 che ha suscitato notevoli polemiche. L’iniziativa prevede l’istituzione di un laboratorio per “Bambin* trans e gender creative“, approvato dal comitato etico dell’ateneo. La locandina dell’evento, densa di asterischi e linguaggio inclusivo, introduce un tema delicato, sfidando le convenzioni tradizionali di linguaggio e scienza. L’articolo si propone di analizzare le implicazioni di tale progetto, le problematiche legate alla categorizzazione di genere nei bambini e le conseguenze sociali che ne derivano.

Il valore del linguaggio nel dibattito sulle identità di genere

Uno degli aspetti più controversi del progetto è il linguaggio utilizzato nell’annuncio, carico di asterischi e termini inclusivi che riflettono una tendenza crescente verso una decadenza linguistica, secondo alcuni critici. Questa scelta lessicale è vista come un tentativo di adattare la lingua italiana a modelli di inclusione che, tuttavia, potrebbero risultare confusi per il grande pubblico. Il dibattito sull’identità di genere si intreccia con quello linguistico, in un contesto dove il linguaggio dovrebbe essere chiaro e comprensibile.

Studi in neuropsichiatria infantile evidenziano come, durante l’età evolutiva, i bambini non siano in grado di comprendere concetti complessi legati alla sessualità e all’identità di genere. Ad esempio, la sessualità dei bambini è spesso concepita in relazione all’apparato escretore, senza una comprensione più ampia. Pertanto, assegnare etichette identitarie così forti ai bambini risulta problematico e rischioso. L’introduzione in età infantile di tali concetti potrebbe generare ansia e confusione, senza considerare che i bambini si trovano in una fase di esplorazione della propria identità naturale.

Allo stesso modo, l’accettazione di termini inclusivi, seppur nobili nelle loro intenzioni, può condurre a una semplificazione eccessiva di questioni complesse, spingendo gli adulti a interpretare il comportamento dei bambini in modi che potrebbero non essere del tutto accurati.

I pericoli della medicalizzazione dell’infanzia

Uno dei temi più gravi scaturiti dalle discussioni attorno a questo laboratorio riguarda la medicalizzazione dei bambini. La pressione sociale e la promozione del transizionismo come scelta valida possono portare a decisioni affrettate. Le testimonianze di genitori segnalano che spesso le ragazze che manifestano una confusione identitaria vengono indirizzate a esperienze di transizione sociale, come l’adozione di un nome maschile e cambiamenti nell’abbigliamento, senza un’adeguata valutazione psicologica. In molti casi, il supporto ricevuto sembra più orientato alla transizione che alla comprensione e all’accettazione della loro reale identità.

Il rischio è che le terapie ormonali e i farmaci, normalmente riservati a pazienti oncologici o a bambini con problematiche di pubertà precoce, vengano prescritti a bambini in fase di esplorazione della propria identità di genere. Le conseguenze di una tale medicalizzazione sono potenzialmente gravi e durature, tanto per il singolo individuo quanto per la società che lo circonda.

L’importanza di un approccio empatico e altamente specializzato

La questione di come affrontare il disagio identitario dei giovani merita un’attenzione approfondita. Esiste la necessità di sviluppare centri di ascolto e supporto accessibili, dove i professionisti possano fornire un’indicazione chiara e non pressante riguardo l’identità di genere. L’ospedale Agostino Gemelli di Roma ha recentemente aperto un ambulatorio multidisciplinare per la disforia di genere, che si propone di accogliere i giovani affetti da questo disagio in modo non invasivo e centrato sull’ascolto.

L’approccio evidenziato dalla squadra medica dell’ospedale utilizza un modello di cura che notoriamente evita la somministrazione di farmaci bloccanti della pubertà senza un’adeguata preparazione psicologica. Questo metodo cerca di riconoscere i segnali di confusione in modo empatico e di fornire uno spazio di ascolto dove il giovane possa esprimere liberamente le proprie inquietudini.

È evidente che, in un momento socioculturale in cui il concetto di identità di genere è tanto discusso, servano di più iniziative tese a salvaguardare la salute mentale dei giovani e la serenità delle famiglie, piuttosto che enfatizzare etichette poco chiare che possono contribuire a una confusione già presente.

La società deve affrontare il tema delle identità di genere con serietà, apertura e rigore scientifico. Momenti di incontro e dibattiti, come quello proposto dall’università di Roma 3, devono considerare con attenzione le implicazioni di politiche e linguaggi che rischiano di semplificare questioni complesse e di generare incertezze tra i più vulnerabili: i bambini.

Ultimo aggiornamento il 28 Settembre 2024 da Elisabetta Cina

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