La vicenda giudiziaria di Antonio Ferranti, accusato e condannato per usura aggravata nella provincia di Torino, si conclude con la sentenza definitiva della Corte di Cassazione nel 2025. Cinque anni dopo l’operazione “Shylock”, che aveva portato alla luce un giro di prestiti a tassi usurari, la giustizia italiana certifica una condanna a 4 anni e 6 mesi per Ferranti. La decisione conferma reati legati a prestiti a imprenditori e soggetti in difficoltà economica, ponendo fine a uno dei casi più rilevanti di microcriminalità finanziaria in quella zona.
la sentenza definitiva sulla vicenda ferranti e il ruolo della cassazione
Antonio Ferranti, 56 anni, residente a Caluso, viene riconosciuto colpevole di usura aggravata dalla Corte di Cassazione. La condanna a 4 anni e 6 mesi arriva in seguito al ricorso della difesa e alla riduzione precedentemente disposta in appello, dove era stata cancellata la prescrizione su uno dei capi d’accusa. Il processo era partito dal tribunale di Ivrea, con una prima condanna a 5 anni e 2 mesi, mentre la moglie di Ferranti e un altro imputato erano stati assolti.
principio giuridico ribadito dalla cassazione
La Cassazione ha ribadito un principio giuridico fondamentale: “per configurare il reato di usura non è necessario che gli interessi oltre la soglia legale siano stati effettivamente riscossi, ma basta che siano stati pattuiti.” Questo riconfermato dalla Corte sostanzia la validità delle accuse basate soprattutto sulle testimonianze ritenute attendibili degli imprenditori e delle vittime coinvolte nell’indagine. Le difese avevano sostenuto l’inesattezza dei calcoli sui tassi applicati e contestato l’attendibilità delle testimonianze, ma non sono state accolte.
Questa sentenza chiude definitivamente il procedimento, confermando la gravità del quadro accusatorio e sottolineando il rigore della valutazione giudiziaria.
le modalità dell’attività usuraria e i comportamenti illeciti di ferranti
Le motivazioni della sentenza mettono in luce la continuità e la gravità dell’attività di Ferranti. La Corte ha riscontrato una condotta protratta per almeno un decennio, rivolta a soggetti economicamente vulnerabili. Tra le vittime figuravano imprenditori bisognosi di liquidità che Ferranti soddisfaceva applicando condizioni di interesse elevate, ben oltre i limiti di legge.
comportamento e tentativi di occultamento
La strategia dell’imputato prevedeva quindi un approfittamento sistematico delle difficoltà economiche altrui. Durante le indagini è emerso anche un tentativo di coprire le tracce: Ferranti avrebbe cancellato dati dai suoi dispositivi elettronici e contattato le vittime per spingerle a fornire versioni favorevoli alle sue posizioni, in modo da ostacolare l’accertamento dei fatti.
Questi elementi hanno portato la Cassazione a definire le condotte come “particolarmente odiose”, finalizzate a un disegno criminoso lucido e ricorrente. La ripetizione delle azioni illegali e la ricerca di false dichiarazioni hanno aggravato il quadro penale. Non si trattava infatti di azioni occasionali ma di un sistema consolidato.
il profilo patrimoniale di ferranti e le misure cautelari
Nonostante la condanna, Ferranti risultava disoccupato. L’attività di usura, però, emerge nel bilancio della sua situazione economica, che presentava disponibilità finanziarie e proprietà immobiliari sproporzionate rispetto ai redditi leciti dichiarati. Questo ha confermato i sospetti degli inquirenti sul fatto che i beni sequestrati derivassero dagli introiti illeciti ottenuti con pratiche usurarie.
Le autorità hanno disposto il sequestro di immobili e somme di denaro, interrompendo la disponibilità diretta di quei capitali per Ferranti. Questi provvedimenti rappresentano una risposta stringente per interrompere la filiera del guadagno illecito e smantellare la struttura economica sotto l’attività criminale.
La misura non solo limita l’operatività di Ferranti ma invia un messaggio importante a chi usa mezzi illeciti per arricchirsi sfruttando le difficoltà delle persone.
l’operazione “shylock” e il fenomeno dell’usura nella provincia torinese
Il caso Ferranti nasce dall’indagine chiamata “Shylock”, partita nel basso Canavese e sfociata in una serie di arresti e condanne. L’operazione ha messo in luce una realtà poco conosciuta, quella dell’usura che agisce in aree semi-periferiche. Il fenomeno non riguarda solo le grandi città; anche piccoli centri e zone limitrofe vedono infiltrarsi forme di criminalità finanziaria.
Le testimonianze raccolte hanno permesso di scoprire come figure come quella di Ferranti operano, con metodi che sfruttano il bisogno urgente di liquidità da parte di imprenditori e privati. Spesso le vittime si trovano intrappolate in una spirale di debiti che diventano sempre più difficili da estinguere a causa dei tassi esorbitanti.
dibattito e attenzione sulla diffusione del fenomeno
L’operazione ha aperto un dibattito sulla necessità di attenzione anche nelle zone meno battute, dove la criminalità si sviluppa in modo meno visibile ma non meno dannoso. La sentenza della Cassazione ribadisce l’attenzione della giustizia verso questo tipo di reati, confermando pene esemplari per chi sfrutta altrui fragilità.
L’epilogo del procedimento contro Ferranti rappresenta una chiusura di un capitolo giudiziario che ha coinvolto molti soggetti e che negli anni ha richiesto una lunga attività investigativa per chiarire i fatti e punire gli illeciti.