La cronaca si colora di tristezza a Origgio, nel varesotto, dove si è verificato un episodio di violenza in discoteca culminato nella morte di Omar Bassi. La sua cugina, Michelle Sala, ha voluto raccontare la storia del giovane per denunciare l’accaduto e chiedere giustizia. Alla base ci sono interrogativi inquietanti su cosa sia realmente accaduto nella notte del 20 luglio, quando Omar intervenne per proteggere suo fratello minore da una rissa. Questa vicenda ha sollevato dubbi sui comportamenti di alcuni buttafuori, la cui funzione dovrebbe essere quella di garantire la sicurezza e non di scatenare violenza.
Il tragico evento alla discoteca Dolcebeach
Un intervento per difendere
Il 20 luglio, Omar Bassi si trovava nella discoteca Dolcebeach a Origgio quando è scoppiata una rissa. Secondo il racconto di Michelle, il ragazzo ha cercato di proteggere il suo fratello Thomas, che stava subendo aggressioni. Questo gesto è costato a Omar un durissimo pestaggio da parte di alcuni buttafuori. Michelle ha sottolineato che i buttafuori lo avrebbero colpito “con calci e pugni in testa e ai fianchi”, un comportamento che solleva gravi interrogativi sul loro operato. Le parole di Michelle pongono l’accento su un tema delicato: il confine tra intervento e abuso di potere da parte di chi dovrebbe garantire la sicurezza nei luoghi di intrattenimento.
L’immediato intervento medico e il tragico epilogo
Dopo il pestaggio, alcuni familiari di Omar tentarono di prestare aiuto, ma i buttafuori avrebbero ostacolato il loro intervento, avvertendo il fratello di non avvicinarsi. Il padre di Omar, preoccupato per le condizioni del figlio, lo portò al pronto soccorso dell’ospedale Sacco, ma dopo un’attesa prolungata decisero di andarsene. Due giorni dopo, a causa di un persistente mal di testa e nausea, la madre lo portò all’ospedale di Garbagnate, dove inizialmente non emerse nulla di grave. Tuttavia, la situazione di Omar si aggravò improvvisamente il 5 agosto quando, mentre si trovava in Calabria, si accasciò a terra senza riprendersi.
La tempestività dell’intervento medico si rivelò cruciale, ma purtroppo, il piccolo ospedale in cui era stato portato non disponeva delle attrezzature necessarie. Omar venne trasferito in elisoccorso a Reggio Calabria, dove una TAC con contrasto rivelò una grave emorragia cerebrale, risultato del pestaggio subito. Poche ore dopo, la notizia fatale: il cuore di Omar smise di battere. Un ragazzo di soli 23 anni, originario di Bollate, che non solo ha perso la vita, ma ha anche donato i suoi organi.
La richiesta di giustizia e la denuncia sociale
La speranza di un cambiamento
Dopo la tragedia, Michelle Sala ha espresso il profondo dolore della famiglia, enfatizzando che “questo dolore per la mia famiglia è straziante”. Nonostante l’immenso lutto, la cugina di Omar rivolge un appello chiaro: giustizia. Michelle chiede che venga accertata la verità su quanto accaduto e che chi ha sbagliato paghi per le proprie azioni. Il suo desiderio è che episodi di violenza come quello che ha colpito Omar non si verifichino mai più.
In un contesto dove la sicurezza nei locali notturni è un tema sempre più attuale, Michelle sottolinea che non è la prima volta che assiste a violenze del genere. La diffusione di simili comportamenti, che mettono in discussione il ruolo dei buttafuori, crea un clima di insicurezza non solo per i giovani avventori ma per tutta la comunità. Questa vicenda inquietante si inserisce in un dibattito più ampio sulla responsabilità e la formazione dei professionisti della sicurezza in discoteca.
La storia di Omar Bassi è un monito importante per la società, un richiamo a una riflessione profonda su cosa significhi sicurezza nei luoghi di intrattenimento e sul ruolo di chi è preposto a tutelarla. La famiglia di Omar, con la sua richiesta di giustizia, apre un’importante questione sul rispetto della vita e della dignità umana negli spazi di divertimento.