L’ex assessore ed ex consigliere comunale di Reggio Calabria, Dominique Giovanni Suraci, e l’imprenditore Giuseppe Crocé, sono stati assolti in appello dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa. Le sentenze emesse dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria pongono fine a un lungo iter giudiziario iniziato nel 2018, quando Suraci era stato condannato a 12 anni di carcere e Crocé a 8 anni e 6 mesi.
Il caso di Suraci e Crocé e il processo “Sistema-Assenzio”
Il processo “Sistema-Assenzio” ha portato alla luce una complessa rete di affari legati alla ‘ndrangheta, in particolare alla cosca Tegano. Emirati dall’inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, emergeva che Suraci era ritenuto la figura chiave dietro un sistema affaristico che gli avrebbe consentito di aprire e gestire una serie di supermercati nel territorio reggino. La sentenza di primo grado aveva ricondotto le operazioni commerciali a presunti accordi illeciti con membri del clan, disegnando un quadro di collusione fra politica e criminalità organizzata.
L’imprenditore Crocé, coinvolto nella stessa inchiesta, era accusato di avere sostenuto l’attività di Suraci, contribuendo a consolidare il potere economico della cosca attraverso investimenti commerciali. Le sue condanne avevano destato particolare attenzione per il numero di anni di reclusione, sintomo di come le attività imprenditoriali a Reggio Calabria non potessero essere avviate senza l’ombra della mafia.
Con l’assoluzione, la corte di appello ha ribaltato le decisioni precedenti, riabilitando sul piano giuridico i due ex imputati e rimuovendo così l’ignominia che gravava su di loro. La giustizia, in questo caso, ha portato a una revisione che sconfessa l’intreccio di affari e criminalità che tanto ha caratterizzato le controversie calabresi negli ultimi anni.
Le motivazioni della sentenza e la prescrizione delle ulteriori accuse
La Corte d’Appello ha espresso chiaramente le motivazioni alla base delle assoluzioni, evidenziando l’insufficienza di prove capaci di sostenere le accuse di mafia. Gli avvocati di Suraci e Crocé avevano in precedenza contestato la raccolta di testimonianze e l’applicazione di misure cautelari che avevano influito sulla reputazione e le attività dei loro assistiti. La revisione del giudizio ha permesso di chiarire l’assenza di un reale coinvolgimento in attività mafiose, un fatto che avrà ripercussioni sulle loro vite professionali.
Oltre all’assoluzione, i giudici hanno dichiarato prescritti anche altri due capi di imputazione contro Suraci, riguardanti associazione per delinquere semplice e reati fallimentari, liberandolo ulteriormente dalla pressione giudiziaria. Questo esito non solo segna un cambio di rotta importante per i due uomini, ma pone anche interrogativi sulle modalità con cui le accuse erano state raccolte e presentate in un contesto così delicato come quello della criminalità organizzata.
Un caso emblematico nel contesto calabrese
Questa sentenza d’appello riflette una realtà complessa e spesso controversa nei rapporti tra politica, imprenditoria e mafia nel sud Italia. L’assoluzione di Suraci e Crocé non deve sminuire i rischi e le responsabilità di chi è coinvolto in attività economiche in una regione dove il potere della ‘ndrangheta continua a esercitare un’influenza significativa.
Molte realtà imprenditoriali in Calabria si trovano ad affrontare sfide uniche, e questo caso in particolare ha riacceso il dibattito sull’infiltrazione mafiosa e sul sostegno che le istituzioni devono fornire agli imprenditori onesti. La vicenda sta ponendo interrogativi fondamentali sui sistemi di vigilanza e sulla necessità di proteggere chi lavora legalmente contro le pressioni delle organizzazioni criminali, un aspetto cruciale per il progresso e la sicurezza della comunità.
Ultimo aggiornamento il 20 Novembre 2024 da Sofia Greco