Csm approva la risoluzione per la tutela dei giudici di Bologna: il caso dei “paesi sicuri”

Il Consiglio Superiore della Magistratura approva una risoluzione per proteggere i giudici di Bologna, coinvolti in un controverso rinvio alla Corte Europea su normative sui “paesi sicuri”.
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Csm approva la risoluzione per la tutela dei giudici di Bologna: il caso dei "paesi sicuri" - Gaeta.it

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha recentemente ratificato, con un’ampia maggioranza, una risoluzione che si prefigge di garantire la protezione dei giudici di Bologna. Questi ultimi erano stati protagonisti di una controversa decisione, in cui hanno rinviato alla Corte Europea di Giustizia un decreto legge riguardante i “paesi sicuri“. La decisione del Csm si traduce in una posizione ufficiale che, sebbene non abbia rilevanza giuridica, si oppone alle pesanti critiche provenienti dal governo nei confronti dei magistrati. Si tratta della prima pratica di tutela a giungere a risoluzione del plenum negli ultimi quindici anni, un evento significativo nel panorama giuridico italiano.

La risoluzione e il voto del Csm

La risoluzione è stata approvata con il voto favorevole di 26 componenti, inclusi tutti i magistrati, contro 5 voti contrari espressi dai membri laici di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. L’assenza del vice presidente Pinelli durante la votazione non ha influenzato il risultato. La prima Commissione del Csm ha evidenziato come il dibattito pubblico sul caso sia stato caratterizzato da “dure dichiarazioni” provenienti da alte cariche istituzionali, le quali non si sono correlate alle questioni giuridiche sollevate ma hanno insinuato dubbi sull’obiettività dei giudici coinvolti.

Rinviò della Corte di Giustizia Europea

Il Tribunale di Bologna, nel mese di ottobre, ha ritenuto opportuno deferire alla Corte di Giustizia europea la questione di un cittadino del Bangladesh, la cui richiesta di protezione internazionale è stata rigettata. Nel rinvio, il tribunale ha richiesto chiarimenti su due punti fondamentali: la definizione di ciò che costituisce un paese sicuro e la prevalenza della normativa europea in caso di conflitto con quella nazionale. Questo passaggio è cruciale, come sottolineato dal presidente del tribunale Pasquale Liccardo, mirato a garantire un’applicazione uniforme delle normative dell’Unione Europea.

La questione dei “paesi sicuri

Il fulcro del rinvio al Lussemburgo risiede nella definizione di “paese sicuro“. Il tribunale ha sollevato il dubbio su un principio implicito: se un paese possa essere considerato sicuro quando gran parte della popolazione vive in condizioni di sicurezza. Questa visione si scontra con l’obiettivo della protezione internazionale, che deve tener conto delle minoranze vulnerabili, spesso le più colpite dalle crisi umanitarie.

Un paragone controverso

Una delle parti più dibattute della sentenza riguarda l’esempio usato dal tribunale per illustrare il concetto di paesi sicuri. Viene citata la Germania nazista, considerata nel suo insieme sicura per la maggioranza dei cittadini tedeschi, ma che ha rappresentato una minaccia grave per le minoranze come gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici e i rom. Tale analogia ha suscitato polemiche e discussioni, dato il grave contesto storico citato. Il rinvio pone in evidenza anche altre situazioni critiche che necessitano di protezione internazionale, come quelle riguardanti comunità LGBTQI+, vittime di violenza di genere e minoranze etniche.

La votazione e la risoluzione approvata dal Csm segnano un momento fondamentale per la magistratura italiana, sollevando interrogativi sulla giurisprudenza in materia di protezione internazionale e sul delicato rapporto tra diritto, politica e media.

Ultimo aggiornamento il 20 Novembre 2024 da Sara Gatti

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