Il mondo ha assistito a un tragico evento che ha scosso la società iraniana: Kianoosh Sanjari, un attivista e giornalista, ha deciso di porre fine alla sua vita a Teheran. Questo gesto estremo è avvenuto dopo che Sanjari aveva lanciato un appello pressante per il rilascio di quattro detenuti politici, dando voce a una profonda disperazione riguardo alla situazione dei diritti umani in Iran. La notizia, riportata da Iran International, ha colpito chiunque segua le vicende della Repubblica Islamica, mettendo in evidenza il contesto difficile e oppressivo che gli attivisti devono affrontare.
L’ultimatum di un attivista
Poche ore prima di compiere il tragico gesto, Sanjari ha pubblicato un messaggio su X, in cui chiedeva la liberazione di Fatemeh Sepehri, Nasrin Shakarami, Toomaj Salehi e Arsham Rezaei. In questo post, ha fissato un termine preciso: se entro le 19 non fosse stata annunciata la liberazione dei quattro, avrebbe suonato il campanello di una protesta definitiva. Le sue parole erano chiare e cariche di urgenza, un richiamo che si faceva sempre più assillante man mano che il tempo passava.
Il messaggio di Sanjari non si limitava a un semplice richiamo alla liberazione di questi prigionieri, ma rappresentava un atto simbolico contro quella che lui definiva “dittatura di Khamenei e i suoi complici”. Il termine dell’ultimatum ha avuto un forte impatto, esprimendo la frustrazione di molti iraniani nei confronti di un sistema che silenzia le voci dissenzienti.
Il momento decisivo
Quando l’orologio ha colpito le 19, Sanjari ha condiviso una foto dall’alto del Ponte Hafez a Teheran, accompagnata dalla didascalia “sono le 19”. Subito dopo, ha pubblicato un messaggio che ha messo in luce la sua intolleranza per la repressione e la mancanza di libertà di espressione. “Nessuno dovrebbe essere incarcerato per aver espresso le proprie opinioni” ha scritto, rivendicando il diritto alla protesta come un principio fondamentale di libertà individuale.
I suoi ultimi messaggi hanno rivelato un profondo attaccamento alla vita e alla speranza per un futuro migliore per l’Iran. “Mi auguro che un giorno gli iraniani si sveglino e superino la schiavitù. Viva l’Iran” erano parole che esprimevano, nonostante il tragico volere, un desiderio di riscatto e liberazione per il popolo iraniano.
La conferma della tragedia
Dopo il post finale di Sanjari, la notizia del suo suicidio è stata confermata da diverse fonti, tra cui l’attivista Hossein Ronaghi. Questa triste realtà ha portato a una riflessione più ampia sull’attuale situazione della libertà di espressione in Iran e sulla vita quotidiana di chi lotta per i diritti umani in un contesto così difficile. Le azioni di Sanjari riaccendono l’attenzione sulle condizioni dei detenuti politici in Iran e sulla disparità di trattamento per coloro che osano opporsi al regime.
Il dramma di Kianoosh Sanjari non è solo una storia personale di un attivista che ha scelto di mettere fine alla sua vita, ma un monito sulla necessità urgente di cambiare un sistema che continua a silenziare le voci di disaccordo. Questo tragico evento rappresenta una chiamata a tutti affinché si continui a lottare per la giustizia e la libertà, per evitare che altre storie simili possano ripetersi in futuro.
Ultimo aggiornamento il 13 Novembre 2024 da Sofia Greco