Un caso controverso è emerso riguardo a Luciano Di Marzo e sua moglie Anna Bonanno, entrambi coinvolti in un’indagine su una rapina avvenuta in una gioielleria di Cerignola nel marzo 2019. La Corte d’Appello di Bari ha negato il risarcimento per ingiusta detenzione, attribuendo ai coniugi la responsabilità di non aver presentato prove sufficienti a dimostrare la loro innocenza. La rapina, caratterizzata da una violenza sorprendente, ha messo in luce incertezze investigative e violazioni nella gestione della giustizia.
La rapina a mano armata
L’incidente risale all’8 marzo 2019, quando un uomo e una donna entrarono in una gioielleria di Corso Aldo Moro a Cerignola, facendo finta di essere clienti. La situazione si trasformò rapidamente in un’incursione violenta, con la commessa immobilizzata e percosse inflitte alla vittima. Un complice, armato di un taser, intervenne per rafforzare il dominio sugli astanti. Questo episodio ha portato a un bottino di 72mila euro in articoli preziosi. Le indagini hanno rivelato che i colpevoli riuscirono a fuggire grazie a un veicolo con targa clonata, utilizzato da un quarto complice.
I dettagli della rapina, compresi i video di sorveglianza, hanno fornito elementi cruciali per le indagini iniziali. Tuttavia, l’analisi condotta dalle forze dell’ordine ha condotto a un inquietante errore, il coinvolgimento di Di Marzo e Bonanno, che inizialmente risultò fatale per loro.
L’arresto e l’errore giudiziario
Luciano Di Marzo e Anna Bonanno furono arrestati il 5 giugno dello stesso anno, con l’accusa di essere implicati nella rapina. Nonostante il loro alibi, che indicava la presenza a Torino durante il crimine, il giudice ritenne le loro dichiarazioni inaffidabili. Passarono 120 giorni di privazione della libertà, durante i quali la coppia ha subito un consistente danno sia personale che professionale.
Successivamente, un elemento emerso dall’udienza di libertà fu fondamentale: una testimone confermò di aver visto la donna e il bambino in ospedale nello stesso giorno della rapina. Questo sviluppo mise in dubbio la validità delle accuse e portò al riesame delle prove. La testimonianza della madre ha dato nuovo vigore alla difesa, sollevando interrogativi sul processo che aveva portato all’arresto.
La perizia antropometrica e la revoca della misura
Una svolta importante nella vicenda si è presentata con una perizia antropometrica eseguita dal professor Vincenzo Mastronardi, che ha confrontato differenze fisiche tra Di Marzo e i presunti rapinatori. Secondo i risultati, esisteva una differenza di altezza di 10-15 centimetri con Luca Capocefalo, considerato uno dei complici.
Alla luce di queste informazioni, la difesa ha evidenziato l’inconsistenza delle prove contro Di Marzo, il quale ha finalmente ottenuto la revoca della misura cautelare il 23 settembre, dopo un lungo periodo di isolamento. La perizia ha dimostrato l’assenza di fondamento delle accuse, dando modo al pubblico ministero di archiviare il caso con un’accusa di errore giudiziario.
Le conseguenze e la richiesta di risarcimento
Il procedimento legale contro Di Marzo e Bonanno si è concluso il 25 ottobre 2021, ma la questione del risarcimento per ingiusta detenzione è rimasta un tema controverso. Gli avvocati Giacomo Lattanzio e Domenico Peila hanno presentato una domanda di riparazione, che è stata rigettata. Ora essi hanno intenzione di fare appello in Corte di Cassazione, contestando la logica dietro alla motivazione della decisione e cercando l’annullamento dell’ordinanza.
Il caso ha sollevato interrogativi seri sulle pratiche di giustizia e assistenza legale in Italia. I veri responsabili della rapina sono stati identificati e condannati, ma questo fatto non lenisce il danno subito da Di Marzo e Bonanno. L’avvocato Lattanzio ha definito la vicenda come una tragedia, suggerendo che le voci di coloro coinvolti non sono state adeguatamente ascoltate, lasciando loro il peso di un’accusa infondata e una detenzione ingiustificata.
Ultimo aggiornamento il 17 Novembre 2024 da Laura Rossi