Il caso di Alba Veronica Puddu, una dottoressa di 53 anni originaria di Tertenia, continua a tenere alta l’attenzione pubblica e dei media. Condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario aggravato, circonvenzione d’incapace e truffa, la Puddu è ora al centro di un processo in Corte d’assise d’appello a Cagliari. La sentenza finale attesa per il 10 gennaio 2025, ha avviato le arringhe finali da parte degli avvocati di difesa e delle parti civili.
Arringhe della difesa: richiesta di assoluzione
Questa mattina, gli avvocati Gianluca Aste e Michele Zuddas, hanno presentato le loro argomentazioni in favore della dottoressa Puddu. Hanno sottolineato come, secondo la perizia psichiatrica, la loro assistita abbia una parziale infermità mentale. Aste ha sostenuto che non vi sia un nesso causale tra la condotta della dottoressa e la morte di uno dei suoi pazienti. “Non riconosciamo il dolo eventuale – ha dichiarato Aste – perché la dottoressa non ha accettato il rischio che il paziente potesse morire. Lei voleva curarlo.”
L’obiettivo della difesa è l’assoluzione, puntando sulla mancanza di intenzionalità nel comportamento della dottoressa. Sostengono che, nonostante le problematiche mentali della Puddu, non vi sia sufficienti prove per sostenere che ella avesse l’intenzione di causare la morte di un individuo o di danneggiare qualcuno nella sua professione.
Richiesta delle parti civili e attenzione alla perizia psichiatrica
Dall’altra parte, le parti civili, rappresentate da Gianfranco Sollai, Rita Dedola e Mauro Massa, hanno chiesto una condanna a 18 anni di reclusione, riferendosi alla parziale incapacità della dottoressa. Questa posizione rispecchia non solo il riconoscimento della sua condizione mentale, ma anche una forte richiesta di giustizia per le vittime. Le parti civili hanno chiesto anche di confermare i danni già riconosciuti nel primo grado, richiedendo quindi un risarcimento per le sofferenze subite.
Un elemento chiave del processo rimane la perizia psichiatrica condotta dal professor Elvezio Pilfo, un esperto con esperienza in casi di ampia notorietà, come quello di Annamaria Franzoni. Pilfo ha osservato che, sebbene la dottoressa abbia dimostrato una parziale incapacità di intendere e di volere, risulti comunque “socialmente pericolosa” e non idonea a esercitare la professione medica. Questa valutazione potrebbe influenzare notevolmente l’esito del processo, in quanto offre un dimensionamento della gravità della condotta della Puddu.
Origine dell’inchiesta: il caso delle terapie alternative
Il caso di Alba Veronica Puddu trova le sue radici in un’inchiesta condotta dalla trasmissione Le Iene nel 2017. In quell’occasione, vennero documentati diversi casi di pazienti oncologici che avevano fatto la scelta di abbandonare le terapie tradizionali in favore di trattamenti proposti proprio dalla dottoressa. Questa situazione ha sollevato interrogativi significativi sulla sicurezza e sulla validità di tali pratiche.
L’indagine ha portato alla luce una serie di comportamenti professionali che hanno messo in discussione l’operato della Puddu, trasformando il caso in un vero e proprio fenomeno mediatico. L’attenzione continua a crescere mentre i cittadini e le istituzioni si interrogano sull’impatto delle decisioni di un medico nei confronti di pazienti vulnerabili.
La Corte d’assise d’appello di Cagliari continua a lavorare per giungere a una sentenza che possa dare risposte chiare e definitive su questa controversa vicenda legale.
Ultimo aggiornamento il 15 Novembre 2024 da Armando Proietti