Khaled e la sua famiglia vivono una situazione tragica mentre cercano un rifugio nella capitale italiana, ostacolo che si fa ancor più evidente durante il Giubileo, un momento di forte afflusso turistico. Questa storia di vulnerabilità mette in luce una problematica più vasta riguardante l’accoglienza dei rifugiati in una città che gioca un ruolo centrale nei raduni religiosi e spirituali del mondo. Nonostante le istituzioni ecclesiastiche spesso si propongano come punti di sostegno per chi è in difficoltà, non sempre riescono a offrire le soluzioni necessarie.
La drammatica esperienza di Khaled e della sua famiglia
Khaled, un giovane libanese di 35 anni, ha vissuto in Europa per alcuni anni prima di riuscire a far arrivare in Italia la moglie incinta e il figlio di un anno. La famiglia, di origini palestinesi e libanesi, si trova in una situazione di vulnerabilità economica e senza un’abitazione stabile. A ottobre, trovatisi in difficoltà, decidono di soggiornare in una struttura ricettiva gestita da suore, pagando 500 euro per cinque notti. Questo soggiorno, condiviso con l’aiuto di un prete che si è offerto di sostenere parte della spesa, rappresenta per loro un tentativo disperato di trovare un luogo sicuro.
Purtroppo, al termine dei cinque giorni, le suore rifiutano la richiesta di prolungare la loro permanenza. Khaled, preoccupato per la sicurezza della moglie e del bambino, implora per un’estensione, ma riceve un secco rifiuto. Costretti a lasciare la struttura, si ritrovano, per una notte, a dormire nei giardini di piazza Venezia, una scelta drammatica e piena di rischi, soprattutto per una famiglia con un bambino piccolo.
Intervento dei servizi sociali e ricerca di un nuovo rifugio
Dopo la notte in strada, Khaled decide di cercare aiuto. Rivolgendosi ai servizi sociali, riceve indicazioni su come contattare lo sportello di Unione Inquilini. Qui nasce una frenetica ma determinata ricerca di un nuovo rifugio. La situazione non è semplice, ma grazie all’intervento di Francesca Danese del Forum del Terzo Settore, la famiglia riesce a trovare accoglienza in una struttura nel Municipio III.
Questa vicenda non è solo un dramma personale, ma richiama l’attenzione sulla questione della mancanza di risorse per l’accoglienza dei rifugiati in una capitale che, ulteriormente con l’avvicinarsi del Giubileo, si trova a gestire un afflusso turistico massiccio. La difficile situazione di Khaled ma soprattutto l’assenza di politiche concrete per una reale inclusione dei vulnerabili pongono interrogativi responsabili sulla gestione dei servizi di accoglienza.
Le strutture ecclesiastiche e il dilemma dell’accoglienza
Non è un caso unico, ma un aspetto di una problematica più ampia che caratterizza Roma. La città, infatti, ospita numerose strutture gestite da enti ecclesiastici che non sempre sono in grado di garantire un’accoglienza adeguata alle persone in difficoltà. Spesso, queste strutture sono destinate a fini commerciali, affittando camere a prezzi di mercato per attirare turisti, mentre le reali necessità di chi sta vivendo situazioni di emergenza restano in secondo piano.
Silvia Paoluzzi, segretaria nazionale dell’Unione Inquilini, sottolinea come in una città come Roma le strutture ecclesiastiche affittano a turisti, praticando i medesimi prezzi di un hotel, senza destinare risorse per chi ha realmente bisogno di aiuto e protezione. Questo porta a riflessioni sulla responsabilità sociale e spirituale di tali istituzioni, soprattutto in un momento in cui la solidarietà dovrebbe prevalere.
Un quadro preoccupante: i numeri delle strutture ricettive in Italia
Secondo i dati forniti dall’associazione Ospitalità religiosa in Italia, nel nostro paese ci sono 2.965 strutture di accoglienza, suddivise tra gestione diretta da parte di religiosi, gestione laica di proprietà religiosa, e varie altre categorie. Di queste, il 45% è sotto gestione diretta da religiosi, mentre il Lazio si distingue con il maggior numero di posti letto disponibili per una capienza complessiva di 30.493 unità.
Tali statistiche offrono uno spaccato di come le strutture ricettive ecclesiastiche possano essere uno strumento per il sostegno ai bisognosi, ma la realtà evidenzia una mancanza di veri e propri piani di sostegno per i rifugiati e le loro famiglie. La storia di Khaled e della sua famiglia è solo un pezzo di un puzzle complesso che richiede attenzione, garanzia di diritti e protezione per i più vulnerabili in una delle capitali più importanti del mondo.
Ultimo aggiornamento il 15 Novembre 2024 da Marco Mintillo