Il Ravenna Festival continua a offrire un’opportunità unica di immergersi nella grande musica antica. Le opere di Claudio Monteverdi e Henry Purcell, in scena dal 15 al 19 novembre, mettono in evidenza i temi di fragilità umana e migrazione attraverso scorci narrativi che toccano profondamente l’animo. L’esibizione, che include “Il ritorno di Ulisse in patria” e “Didone ed Enea“, si arricchisce del talento del controtenore Jakub Józef Orliński, evidenziando quanto questi capolavori barocchi abbiano da dire anche oggi.
L’inizio della fragilità umana
Il capolavoro di Monteverdi, “Il ritorno di Ulisse in patria“, si apre con una riflessione profonda sull’esistenza umana, espressa dalla voce dell’Umana Fragilità. Questa figura centrale emerge con una potenza emotiva, incarnata dal controtenore Danilo Pastore, il quale si presenta in scena senza abiti, simbolizzando la vulnerabilità della carne. Pier Luigi Pizzi, con la sua regia, ha scelto di esplicitare la fragilità della condizione umana, mostrando il protagonista in uno stato di nuda esistenza. Le parole del testo risuonano come un canto di tristezza e vulnerabilità, creando un’atmosfera di introspezione sin dal primo istante.
La scelta di ridurre all’essenziale l’aspetto scenico permette al pubblico di concentrarsi sull’essenza delle emozioni trasmesse. Le opere diventano vie d’accesso a una conversazione profonda sulle sfide dell’esistenza e sulle cicatrici lasciate da esperienze difficili. Ulisse e Penelope diventano simboli di un’umanità che affronta sofferenze e attese interminabili, ancorata a una nostalgia profonda per ciò che è stato e mai potrà tornare.
L’intreccio tra due opere barocche
Insieme a “Il ritorno di Ulisse“, la produzione presenta “Didone ed Enea” di Henry Purcell, un’opera che affronta toni simili di perdita e desiderio. Qui, la narrazione si sposta su Didone, la regina di Cartagine, che si trova a fare i conti con l’amore perduto e il dolore del tradimento. Le due opere, collocate in contesti storici diversi, si intrecciano in un racconto che parla di donne forti costrette ad affrontare la sofferenza dei propri eroi.
La scenografia, dominata da toni bianchi e da porte maestose, crea un senso di separazione tra il mondo interiore dei personaggi e quello esterno, accentuando la drammaticità delle loro storie. La presenza dell’ensemble Il Pomo d’Oro, diretto da Ottavio Dantone, aggiunge un’ulteriore dimensione musicale a questa esperienza, esaltando i momenti di maggiore intensità. I personaggi principali, interpretati da un cast straordinario, portano in vita la complessità delle relazioni umane e il peso delle loro scelte.
La riscoperta dei ruoli e dei temi
Un aspetto particolarmente affascinante di questa rappresentazione è la riscoperta dei ruoli di controtenore, spesso dimenticati nel panorama operistico contemporaneo. La presenza di figure maschili che interpretano ruoli tradizionalmente femminili sfida le convenzioni e arricchisce la proposta artistica, rendendo questi personaggi ancora più complessi e sfaccettati. Delphine Galou, che si alterna tra Penelope e la maga Caronte, e Arianna Vendittelli, che interpreta sia Minerva che Didone, mostrano una gamma espressiva che accentua il dramma umano al centro delle opere.
La regia di Pizzi, con il suo approccio audace, riesce a connettere le due opere in maniera fluida, evidenziando i temi di amore, perdita e memoria. L’intreccio tra le due storie sottolinea come il dolore e la fragilità siano esperienze universali, in grado di attraversare epoche e culture diverse.
Questa serie di eventi non si limita a una mera rappresentazione di opere classiche, ma diventa un momento di riflessione sulla condizione umana, sugli eroi delle storie e sulle donne che li hanno affiancati. Il Ravenna Festival si conferma così un palcoscenico di eccellenza per la cultura operistica, rendendo ogni esibizione un’esperienza imperdibile.
Ultimo aggiornamento il 18 Novembre 2024 da Donatella Ercolano