Un caso di assurda violenza psicologica ha portato alla condanna di un uomo di 46 anni a Torino. Questo individuo è stato riconosciuto colpevole di aver incitato un altro uomo a compiere atti di violenza sessuale nei confronti della figliastra, una giovane di 18 anni. La sentenza, emessa con rito abbreviato, prevede due anni e due mesi di reclusione. La vicenda, che si è snodata nel tempo, solleva importanti interrogativi sul fenomeno degli abusi psicologici, specialmente nelle relazioni familiari e nell’ambiente digitale.
Il contesto della vicenda e l’inizio delle indagini
L’intera storia prende avvio nel 2018, quando la giovane trova un messaggio inquietante sul parabrezza della sua auto. Un semplice foglio, contenente il numero di telefono di un uomo, proponeva una frase ambigua: “Ciao, sono qui e sono pronto a realizzare il tuo sogno.” Colpita da questo messaggio, la giovanissima decide di contattare i carabinieri, dando il via a un’indagine che rivelerà ben presto risvolti gravi e complessi.
L’uomo che aveva lasciato il biglietto sostiene di aver conversato a lungo con la ragazza su un sito di incontri, scambiando messaggi di natura sessuale. L’inchiesta si apre su un terreno pericoloso, con iniziali accuse di calunnia a carico della diciottenne, sulla base delle affermazioni dell’uomo autore del foglio. Tuttavia, le indagini condotte dai pubblici ministeri Delia Boschetto e Francesco Pelosi hanno fornito indizi che hanno cambiato la direzione del caso, smascherando un piano sconcertante.
Le evidenze fattuali hanno rivelato che, anziché essere la giovane a istigare i colloqui, era stato il patrigno a travestirsi da figliastra, interagendo con l’uomo di ritorno con dettagli pericolosi e distorti. I messaggi contenevano istruzioni su come pianificare l’aggressione, portando alla luce una strategia costruita in modo sistematico e malizioso. Quotidianamente, il patrigno suggeriva anche possibili reazioni della ragazza, descrivendo nei dettagli le modalità di immobilizzazione e abuso, rivelando così un profondo livello di manipolazione psicologica.
La sentenza e l’analisi delle responsabilità
Arrivando al processo, il patrigno ha cambiato attitudine, decidendo di assumersi le colpe davanti al tribunale. Diffuso da un sentimento di emergenza e impotenza, l’uomo, assistito dall’avvocato Erica Gilardino, ha giustificato le sue azioni con una scusa inattesa, sostenendo di non aver mai previsto che il suo interlocutore avrebbe dato seguito alle sue provocazioni. “Non pensavo che lui avrebbe davvero agito,” ha affermato, quasi cercando di sminuire l’accaduto. La sua narrativa ha sollevato interrogativi sul confine tra fantasia e realtà, ma il tribunale non ha ritenuto ammissibili tali giustificazioni.
Alla fine del processo, l’uomo è stato condannato non solo per istigazione alla violenza sessuale, ma anche per sostituzione di persona e detenzione di materiale pedopornografico. La sentenza segna un momento cruciale nella lotta contro gli abusi all’interno delle relazioni familiari, evidenziando l’importanza della protezione delle vittime dai rischi che possono derivare da dinamiche disfunzionali e dalla manipolazione via chat. Un esito che richiama alla responsabilità sociale nella prevenzione e nella sensibilizzazione su tali tematiche, sempre più rilevanti nella società contemporanea.
Ultimo aggiornamento il 16 Novembre 2024 da Sofia Greco